Sono Tristram eroe moderno
Classici L’opera settecentesca che valorizzò incoerenze e discordanze, digressioni e interruzioni, in libreria nell’edizione a cura di Flavio Gregori per i Meridiani Mondadori Con il suo personaggio Laurence Sterne rivoluzionò le regole del romanzo
Appena prendiamo in mano La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne (di cui è uscita un’eccellente edizione, a cura di Flavio Gregori, Mondadori, i Meridiani), veniamo affascinati. Per noi, è un bellissimo libro. Per i lettori del Settecento e dell’Ottocento, il Tristram Shandy era molto di più: il meraviglioso inizio della letteratura moderna. Goethe diceva che «Sterne è lo spirito più libero che sia mai esistito. Chi lo legge, si sente subito felice». Nei suoi primi libri Tolstoj imitò con eleganza la musica inafferrabile dello Shandy. Nietzsche diceva che Sterne era «il grande maestro dell’ambiguità».
Laurence Sterne, che nacque il 24 novembre 1713 in Irlanda, fu pastore per quasi vent’anni a Sutton, nello Yorkshire. Con grande passione, recitava i suoi bellissimi sermoni, di cui una parte ci è pervenuta. Con la stessa passione fu un libertino: corteggiò molte donne: si procurò una malattia venerea: fece un’intensa, a volte frenetica vita mondana, in Inghilterra e in Francia: conversò e chiacchierò insaziabilmente: fu malato di tisi: perse la voce: i suoi vasi sanguigni si ruppero; la morte «lo prese per la gola», sebbene egli si prendesse inesauribilmente gioco di lei. «Non posso morire — disse — perché ho quaranta volumi da scrivere e quarantamila cose da dire e fare». Viaggiò, fuggì per scansare la morte: la trattava come Tristram Shandy trattava il suo farmacista: se la lasciò a lungo dietro alle spalle; finché anche lui morì nel suo appartamento di Londra, a Old Bond Street, alle ore 16 del 18 marzo 1768. Sino alla fine tenne in mano la penna. Secondo quanto sembra, il suo corpo venne trafugato dal cimitero di St. George e condotto a Cambridge: lì fu usato in una lezione di anatomia, e poi riportato a Londra per essere seppellito una seconda volta. Sono certo che questa storia sarebbe piaciuta moltissimo a Sterne — tanto egli aveva giocato lietamente e assurdamente con la morte e i cadaveri.
La funzione di pastore imponeva a Sterne di venerare Dio: in uno dei suoi sermoni parlò dell’«Essere sempre sul nostro capo e vicino al nostro letto»; e nel Tristram Shandy zio Toby esaltò «la grazia e l’assistenza di quell’Essere che è il migliore di tutti». Dunque Sterne credette in Dio. Forse: probabilmente; sebbene nel suo caso le parole credere e fede debbano essere dette e subito dimenticate; egli credeva e aveva fede in tutto e in nulla. Non possiamo negare che, qualche volta, conversasse con Satana: forse lo incontrò in un salotto di Londra, o viaggiò velocemente insieme a lui, come con un compagno silenzioso; ma non aveva per Satana nemmeno una piccola parte di quell’oscuro e tenebroso rispetto che nutrivano per lui molti tra i suoi amici libertini.
Sterne e il suo libro vissero sotto il segno di Ermete Trismegisto, che prestò il proprio nome a Tristram Shandy. Egli aveva un temperamento «mercuriale», ora grave ora frivolo: coltivava sia l’Uno sia il molteplice. Come Ermete, la sua mente aveva molte forme, pieghe e aspetti: molti colori: si volgeva, sempre sinuosa, da tutte le parti: amava le cose segrete e nascoste: era flessibile: si trasformava incessantemente; come la mente di un attore di genio, Garrick, che Sterne esaltava.
Se la realtà era molteplice, Sterne diventava ancora più molteplice e diverso. Detestava la linea retta, la rigida e implacabile simmetria, i progetti coerenti dei teologi e dei filosofi. Invece di seguire la via diretta, andava indietro, poi avanti, poi di nuovo indietro. Coltivava le incoerenze, le contraddizioni, le discordanze, le interruzioni, le digressioni, sebbene cercasse (qualche volta) di risolverle in un misterioso equilibrio. Giocava con il possibile e l’impossi-