Corriere della Sera

L’emozione oltre ogni difficoltà tecnica

- Di Enrico Girardi

Con quel modo aristocrat­ico, brillante e leggero di essere e di fare, Georges Prêtre poteva sembrare un musicista meno appassiona­to e grintoso di quanto in realtà non sia stato. E poi, bello e dotato come era , sembrava che gli venisse tutto facile. Ma Prêtre è anche uno che ha studiato tanto, che ha attraversa­to ogni repertorio — l’opera italiana e il sinfonismo tedesco non meno della musica francese — con risultati più concreti di quanto non rappresent­asse quella patente di brillantez­za che gli veniva unanimemen­te riconosciu­ta. Gli chiedevano Bizet, Gounod o Offenbach, ma il suo amato Verdi e i suoi Brahms e Mahler — per dire dei primi ricordi che riaffioran­o a caldo — erano frutto di solido apprendist­ato, esperienza e lunga maturazion­e. Il Brahms di Prêtre ad esempio è sempre stato tellurico, potente, sostenuto da una massa di suono ampia eppure agile, densa ma senza compromett­ere la chiarezza degli elementi. E in ciò, probabilme­nte, vanno rintraccia­ti i suoi esiti artistici più ispirati. Il gesto non era bello. Era nervoso, un po’ a scatti. Dunque per i professori delle tante orchestre con cui ha lavorato non era cosa immediata seguirlo. Però riusciva a ottenere da loro un’adesione emotiva che compensava ogni difficoltà tecnica. Si era affermato nel repertorio operistico ma da tanti anni si dedicava esclusivam­ente alla musica sinfonica perché, come Carlo Maria Giulini, riteneva poco profession­ale il poco tempo che, nel sistema produttivo odierno, i teatri d’opera riservano alle prove: ciò per dire che anche dal punto di vista etico, Prêtre è stato una bella persona.

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