L’emozione oltre ogni difficoltà tecnica
Con quel modo aristocratico, brillante e leggero di essere e di fare, Georges Prêtre poteva sembrare un musicista meno appassionato e grintoso di quanto in realtà non sia stato. E poi, bello e dotato come era , sembrava che gli venisse tutto facile. Ma Prêtre è anche uno che ha studiato tanto, che ha attraversato ogni repertorio — l’opera italiana e il sinfonismo tedesco non meno della musica francese — con risultati più concreti di quanto non rappresentasse quella patente di brillantezza che gli veniva unanimemente riconosciuta. Gli chiedevano Bizet, Gounod o Offenbach, ma il suo amato Verdi e i suoi Brahms e Mahler — per dire dei primi ricordi che riaffiorano a caldo — erano frutto di solido apprendistato, esperienza e lunga maturazione. Il Brahms di Prêtre ad esempio è sempre stato tellurico, potente, sostenuto da una massa di suono ampia eppure agile, densa ma senza compromettere la chiarezza degli elementi. E in ciò, probabilmente, vanno rintracciati i suoi esiti artistici più ispirati. Il gesto non era bello. Era nervoso, un po’ a scatti. Dunque per i professori delle tante orchestre con cui ha lavorato non era cosa immediata seguirlo. Però riusciva a ottenere da loro un’adesione emotiva che compensava ogni difficoltà tecnica. Si era affermato nel repertorio operistico ma da tanti anni si dedicava esclusivamente alla musica sinfonica perché, come Carlo Maria Giulini, riteneva poco professionale il poco tempo che, nel sistema produttivo odierno, i teatri d’opera riservano alle prove: ciò per dire che anche dal punto di vista etico, Prêtre è stato una bella persona.