Corriere della Sera

C’era una volta Fiasconaro, record eterno «Datemi venti giovani Io li porterò a battermi»

Dopo 8 anni la pallacanes­tro ritrova il derby di Bologna L’azzurro, 800 da primato, vuole aiutare l’atletica

- DAL NOSTRO INVIATO Gaia Piccardi

Apparentem­ente, è tutto come prima, secondo quella liturgia avviata 50 anni e 22 giorni fa e che riprenderà domani dopo essere stata interrotta il 22 marzo 2009: coreografi­e, rivalità, sfottò, Vip in tribuna. E l’attesa di leggere il punteggio finale sul tabellone.

Torna il derby bolognese di basket, nasce all’insegna della solidariet­à (per Telethon) e quasi non ci si accorge che, stavolta, sarà non una partita di serie A, ma di LegaDue. Basket City riaccende le luci, dopo che la Fortitudo 7 anni fa andò incontro alla semi-sparizione e dopo che qualche mese fa toccò alla Virtus conoscere lo psicodramm­a della retrocessi­one, e lo fa a un livello inferiore nel rango della sua stracittad­ina, la numero 104. Ma grazie anche alla LegaDue, che a suon di spalti gremiti e del fatto che sui suoi parquet gli italiani giocano veramente (che sia il terreno giusto da coltivare?), l’effetto nostalgia si annacquerà nella storia di oggi e nella fame di futuro: «Senza quelli di ieri, questo derby non ci sarebbe — dice Alberto Bucci, oggi presidente delle V-nere —. Ma non bisogna pensare che quel passato manca. Piuttosto, c’è chi vuole credere nelle sfide che arriverann­o. I momenti duri, si sa, sono purificato­ri». Alessandro Ramagli, coach virtussino, un livornese transitato pure per Siena, si sente proporre un paragone con il Palio. Ma lo respinge, seppur trovando «un contatto per linee generali: Siena trova la sua profondità in quella corsa, Bologna con la visione di un basket qui superiore al calcio. Sarò debuttante, ma mi aspetto un incontro fuori dal tempo e dalla storia del campionato in corso».

C’era una volta il derby di Driscoll, Schull, Cosic, Villalta, Binelli (il più presente di sempre), Brunamonti, Fucka, Myers, Danilovic, Jaric e Belinelli (due di quelli che vissero la partita su entrambi i fronti), Ginobili. È un elenco incompleti­ssimo e caotico di campioni di più ere, da abbinare a icone del popolo, come il fortitudin­o Nino Pellacani che vergava slogan destinati pure alle T-shirt, tipo «Odio il brodo» (quando lo sponsor Virtus era Knorr) o «Meno 42, il Grande Freddo», epica sintesi di una disfatta dei cugini.

Anche se ci sono controcant­i illustri, per esempio quello di Ettore Messina che da San Antonio spezza l’elegia rammentand­o «l’imbarbarim­ento dell’ambiente vissuto nelle ultime mie esperienze in panchina», è difficile non incedere nell’amarcord. Lo fa pure una Bologna che in queste ore, con file già dal mattino per catturare biglietti spariti in un amen e forse in mano pure ai bagarini, si prepara all’esaurito da 9 mila posti 31 maggio 1998 Sasha Danilovic segna il famoso canestro da 3 punti subendo il fallo di Dominique Wilkins. A sinistra, un’ incursione di Abbio (Eikon, Iguana Press) Giochi di Rio il mio tempo negli 800 sarebbe valso il sesto posto in finale». Dietro l’oro del Kenya David Rudisha, il più sopraffino interprete in circolazio­ne. «Gli azzurri, infatti, li farei allenare come i keniani. Tutti insieme, per fare gruppo. Dentro lo spirito di squadra, poi, va creata una sana competizio­ne. Tipo: corriamo quattro volte i 300 e se non scendi sotto i 34’’, penitenza. Lo ripeto: stiamo qualche mese insieme, un po’ a Formia (a proposito, quando ho saputo della morte di Vittori ho pianto tre giorni) e un po’ in altitudine da me, a Johannesbu­rg».

S’informa: «Magnani ora che fa? È un bravo tecnico ma la mentalità della maratona non può essere esportata». Argomenta: «Il decentrame­nto è sbagliato, la guerra tra gli allenatori sbagliatis­sima». Gli occhi si riaccendon­o di passione vera. Però, Marcello, i giovani non ti conoscono: «Ma Giomi, Baldini e Locatelli, i due nuovi c.t., sì. I ragazzi vadano su You Tube a informarsi, al resto ci penso io». Precisa: «Non cerco lavoro: in Sudafrica sto benissimo. È solo che mi piacerebbe dare una mano». Lui fumava, beveva un bicchiere prima delle gare, cuccava molto. «La mia era un’atletica allegra, viva. Oggi li vedo terrorizza­ti sui blocchi, tremanti, senza carattere. Forse sono troppo coccolati, non sanno più soffrire». Varrebbe la pena di metterli nelle manone del sudafrican­o de noantri, fatto di muscoli e sostanza. «Io ci vorrei provare. Sono sicuro che un po’ di Fiasconaro, all’Italia, male non farebbe».

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