Quelle notti di gelo e paura
Il problema di un clochard è il tempo. Certamente quello atmosferico, ma non solo quello. Il clochard possiede un tempo senza argini. Che penetra ovunque, come aria gelida. «È passata come un colpo di vento: senza progetti, senza meta, senza desideri…». Così viene descritta Mona, la giovane vagabonda di Senza tetto né legge, il film nudamente realistico di Agnès Varda. L’insostenibile pesantezza del tempo. Chiunque abbia visto Aspettando Godot di Samuel Beckett, lo sa. I due mendichi Vladimiro ed Estragone galleggiano sul tempo, naufragano nel nulla, e così le loro parole: farneticanti, retoriche, malinconiche quelle che rievocano il passato. Anche se in verità Vladimiro ed Estragone tendono all’afasia, a vestirsi di silenzio come tutti gli homeless. Le parole nel mare delle ore, dei minuti, dell’attesa, diventano fini a se stesse, irrilevanti. Tutto è irrilevante, ormai. Se il tempo non può essere ingannato neanche dalla conversazione, allora non ci si può scordare mai del proprio stato. Il senzatetto sa — in ogni momento — di essere un senzatetto. Il gruppo artistico Studio Azzurro lo scorso anno ha realizzato una video istallazione, Miracolo a Milano, ispirata alle persone costrette dalla crisi a vivere per strada. Tra i tanti anche una donna che nel suo vagabondare — racconta — ha trovato l’amore, ma non ha più dormito davvero. Ogni notte si trasforma in una veglia di paura, di consapevolezza. La stessa consapevolezza feroce che si trova tra i barboni del romanzo di Jean-Claude Izzo, Il sole dei morenti. Dice Rico (arrivato a Marsiglia dopo la morte dell’amico Titì, ucciso dal freddo in una stazione di Parigi): «Tutto mi manca, Abdou. Ma non ho più voglia di niente».