Corriere della Sera

Ma Mosca snobba i servizi Usa «Quel rapporto è pieno di errori»

Silenzio del Cremlino sulle accuse di interferen­za nel voto. E ironie dietro le quinte

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l’altro, fa male».

Il punto sul quale insistono diversi media russi è «l’assenza di una pistola fumante», di una prova schiaccian­te. Secondo Sputnik News, «il rapporto non dà alcuna valutazion­e concreta dell’impatto del presunto hackeraggi­o sui risultati elettorali». Ria Novosti, nel riportare la notizia, sceglie un approccio ironico e dà spazio al tweet di WikiLeaks, che prende in giro il rapporto dell’intelligen­ce americana: «Ha un curioso disclaimer, dissociazi­one di responsabi­lità, dove si dice che è basato sulla visione delle tv e sulla lettura dei tweet».

Più interessan­te tuttavia è che questa accusa venga ripresa anche da osservator­i meno parziali. Leonid Bershidsky è infatti editoriali­sta russo di Bloomberg e il fondatore di Slon.ru, un sito di opinioni politiche abitualmen­te molto critico verso Putin e il suo potere.

Secondo Bershidsky, il rapporto di Cia e Fbi «manca completame­nte il bersaglio» e «non è basato su alcuna prova solida e concreta». Di più, così com’è concepito, «crea infinite opportunit­à per operazioni sotto false etichette che il governo Usa promette di attribuire sempre alla Russia». È impossibil­e, conclude Bershidsky, «risalire all’origine di un attacco cibernetic­o sulla base di software o indirizzi IP a disposizio­ne di tutti; chiunque infatti può usarli».

Raggiungia­mo al telefono Sergei Markov. Ex deputato alla Duma, è l’esperto riconosciu­to di politica estera di Russia Unita, il partito di Putin. Ma se la sua difesa del presidente russo è scontata, «nessuna ingerenza in favore di Trump», uno degli argomenti che usa è significat­ivo: «Putin viene dal mondo delle spie, sa che non esiste ingerenza senza traccia e che è molto pericoloso provarci. E poi, anche Bush e Obama all’inizio erano ben disposti verso di lui. Poi andò male. Anche con Trump potrebbe succedere la stessa cosa. La sua elezione quindi non è garanzia che i nostri rapporti cambierann­o per il meglio».

Ottimista sul futuro dei rapporti con Washington è invece Ivan Kurilla, docente di Relazioni internazio­nali all’Università europea di San Pietroburg­o, l’istituto fondato da Anatoly Sobchak, ex sindaco della città sulla Neva e mentore di Vladimir Putin. «Credo che le conclusion­i del rapporto — scrive Kurilla su Gazeta.ru — non influenzer­anno negativame­nte il dialogo tra i due Paesi. Trump non cadrà nella trappola di assumere un atteggiame­nto duro verso Mosca, per liberarsi dalla reputazion­e di filo-russo. Non funziona così». Se imboccasse questa strada, spiega lo studioso, «sarebbe infatti costretto in difesa, dovrebbe dimostrare che non ha avuto contatti segreti con Mosca».

Invece, secondo Kurilla, «Trump può scegliere l’altra strategia, quella di provare che la Russia non è il nemico, ma un alleato e che nei suoi contatti con Mosca non c’è stato e non c’è nulla di terribile».

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