Corriere della Sera

«Prima o poi pagheremo un prezzo» L’avvertimen­to di Gabrielli sull’Isis

Le parole del capo della polizia: rimpatri dopo la condanna. Le misure post festività

- Rinaldo Frignani

Gli analisti lo ripetono da mesi: non è una questione di se, ma di quando e dove. E anche gli italiani ormai hanno imparato a convivere con la consapevol­ezza che il rischio zero non esiste. E che non c’è un motivo specifico per cui la follia terrorista non possa colpire, prima o poi, il nostro Paese. Le ultime consideraz­ioni del capo della polizia Franco Gabrielli sono la fotografia di questa situazione: «Inutile illudersi, anche noi pagheremo un prezzo, non c’è dubbio. Ma sia chiaro che saremmo sconfitti solo se ci lasciassim­o condiziona­re nella nostra quotidiani­tà», ha sottolinea­to in un’intervista pubblicata ieri su Il Giornale e Qn.

Non un allarme ma la stessa presa di coscienza di quando, da prefetto della Capitale, Gabrielli mise a punto il piano di sicurezza per il Giubileo straordina­rio. Piano che ha funzionato alla perfezione. E adesso è sempre il capo della polizia a far intendere che, fra le misure da adottare per contrastar­e dall’interno la creazione di cellule e l’evoluzione di lupi solitari, ci saranno cambiament­i nei rimpatri di chi riceve una risposta negativa alla richiesta di asilo in Italia. «La normativa europea prevede in caso di ricorso un solo grado di giudizio, da noi tre. Intendiamo fermarci al primo», ha precisato Gabrielli, che ha anche annunciato un prolungame­nto dei tempi di residenza nei Centri di identifica­zione ed espulsione (Cie) fino a un anno (oggi è di 180 giorni). Insomma, un’intensific­azione della rete di prevenzion­e che si affianca al controllo del territorio, massiccio come mai in passato (come ha dimostrato l’operazione che ha portato all’individuaz­ione di Anis Amri, il killer di Berlino, poi ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia alle porte di Milano), e alle espulsioni decise in via amministra­tiva direttamen­te dal ministro dell’Interno — senza passare per procedimen­ti giudiziari — di immigrati considerat­i pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica. «Alcuni di loro, come hanno dimostrato le indagini dopo i rimpatri — ha rivelato il capo della polizia —, erano vicini all’Isis e stavano davvero per compiere attentati e fare morti. Noi dentro questa minaccia ci siamo già, ma la verità è che se la smettessim­o di giudicarci più coglioni degli altri, scopriremm­o che in molti casi siamo migliori».

E mentre sempre Gabrielli propone di incentivar­e il rientro in patria di chi viene espulso rendendolo vantaggios­o per i loro Paesi d’origine, sul fronte della prevenzion­e già sono scattate le misure post festività. Da domani infatti si torna alla vita di tutti i giorni, e uno dei timori è proprio quello legato all’imprevedib­ilità di un ipotetico atto terroristi­co slegato da situazioni particolar­i.

Tanto che, ad esempio, le stesse ambasciate straniere non pubblicano alert specifici per mettere in guardia i loro connaziona­li. Un giorno qualsiasi, in un posto qualsiasi. Come è avvenuta la maggior parte degli attacchi negli ultimi due anni in mezza Europa. Anche per questo motivo il sistema di vigilanza e di intelligen­ce rimarrà ad altissimi livelli a oltranza, su tutto il territorio nazionale. Con un’attenzione particolar­e per i posti di aggregazio­ne: i locali della movida, concerti, eventi culturali, ritrovi tradiziona­li. E luoghi di culto. Di giorno ma anche di sera. Per non lasciare nulla al caso.

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