Gli affreschi della discordia che dividono catalani e spagnoli
Le opere di un convento cedute a Barcellona nel 1971. Ora l’Aragona le rivuole
«Disponiamo che ogni pertinenza del nostro convento, che si tratti di mobili o immobili, opere d’arte o terre, passi a Barcellona». Così scrivevano nel 1971 le ultime tre monache della badia medievale di Sigena, in Aragona, Spagna. Il convento era ormai in condizioni pietose e le sorelle avevano trovato una nuova casa sul mare, proprio in Catalogna. Tanta generosità verso Barcellona dipese forse anche dalla gratitudine delle monache verso i nuovi ospiti. In ogni caso l’arte finì al museo e le anziane religiose al caldo: happy end? Niente affatto perché il 1971 non era il 2016 dello scontro tra nazionalismi.
Quarantacinque anni fa la Spagna era franchista, isolata dall’Europa e fremente di sciovinismo
Il ministro catalano: «Un complotto spagnolista». Ora si attende la sentenza
spagnolista. Aragona o Catalogna erano mere espressioni geografiche di uno Stato centralizzato. Conservare opere d’arte in un museo sul mare o in un convento dell’interno era del tutto indifferente. Oggi no. La Spagna si macera tra l’orgoglio spagnolo da una parte e quello catalano dall’altra. L’ampia autonomia conquistata assieme alla democrazia non basta più, la Catalogna sogna da Stato autonomo. Quest’anno Barcellona tenterà per l’ennesima volta di organizzare un referendum per separarsi da Madrid e la capitale cercherà ancora di impedirglielo. Così anche Caino e Abele sugli affreschi medievali entrano nella battaglia separatista.
Il sindaco di Sigena ha deciso di reclamare le opere d’arte. Dopo iniziali sconfitte giudiziarie, le sentenze hanno cominciato a dar soddisfazione ad Aragona. «È un complotto spagnolista — denuncia Santi Vila, ministro catalano alla Cultura —. Le autorità aragonesi fremono per oggetti del convento che sono in musei di Barcellona, ma non chiedono quelli che sono al Prado di Madrid. Come mai? La ragione è solo politica». Due mesi fa Vila è stato a un passo dall’arresto, gli sarebbe bastato negare alcune restituzioni ordinate dai giudici. Ora si avvicina il momento della sentenza sugli affreschi: restano a Barcellona o tornano a Sigena? Per il ministro lo schiaffo sui dipinti medievali servirebbe a far capire ai catalani il prezzo di un divorzio da Madrid. «Solo fantasie — assicura al Financial Times il sindaco di Sigena Alfonso Salillas —. Tanto più che io tifo Barça e non Real Madrid». La verità sta nella tensione tra i due schieramenti che interpretano ogni sospiro in modo fazioso. Ha fatto scintille l’ipotesi di espellere il Barcellona FC dalla Serie A spagnola in caso di indipendenza: con un campionato mignon che squadra diventerebbe? Ha indignato la possibilità di deviare il corso dei fiumi che entrano in Catalogna e preoccupato l’ipotesi di aprire collegamenti con l’Europa alternativi alla via costiera per isolare la Catalogna. Ora il contenzioso sugli affreschi fa pensare ad un piano di spoliazione artistica. Tutte voci, ipotesi che diventano provocazioni e agitano i peggiori pensieri. Il problema è che la pentola bolle, ma nessuno ai fornelli si sogna di abbassare.
Verso la sentenza