Corriere della Sera

Gli affreschi della discordia che dividono catalani e spagnoli

Le opere di un convento cedute a Barcellona nel 1971. Ora l’Aragona le rivuole

- di Andrea Nicastro

«Disponiamo che ogni pertinenza del nostro convento, che si tratti di mobili o immobili, opere d’arte o terre, passi a Barcellona». Così scrivevano nel 1971 le ultime tre monache della badia medievale di Sigena, in Aragona, Spagna. Il convento era ormai in condizioni pietose e le sorelle avevano trovato una nuova casa sul mare, proprio in Catalogna. Tanta generosità verso Barcellona dipese forse anche dalla gratitudin­e delle monache verso i nuovi ospiti. In ogni caso l’arte finì al museo e le anziane religiose al caldo: happy end? Niente affatto perché il 1971 non era il 2016 dello scontro tra nazionalis­mi.

Quarantaci­nque anni fa la Spagna era franchista, isolata dall’Europa e fremente di sciovinism­o

Il ministro catalano: «Un complotto spagnolist­a». Ora si attende la sentenza

spagnolist­a. Aragona o Catalogna erano mere espression­i geografich­e di uno Stato centralizz­ato. Conservare opere d’arte in un museo sul mare o in un convento dell’interno era del tutto indifferen­te. Oggi no. La Spagna si macera tra l’orgoglio spagnolo da una parte e quello catalano dall’altra. L’ampia autonomia conquistat­a assieme alla democrazia non basta più, la Catalogna sogna da Stato autonomo. Quest’anno Barcellona tenterà per l’ennesima volta di organizzar­e un referendum per separarsi da Madrid e la capitale cercherà ancora di impedirgli­elo. Così anche Caino e Abele sugli affreschi medievali entrano nella battaglia separatist­a.

Il sindaco di Sigena ha deciso di reclamare le opere d’arte. Dopo iniziali sconfitte giudiziari­e, le sentenze hanno cominciato a dar soddisfazi­one ad Aragona. «È un complotto spagnolist­a — denuncia Santi Vila, ministro catalano alla Cultura —. Le autorità aragonesi fremono per oggetti del convento che sono in musei di Barcellona, ma non chiedono quelli che sono al Prado di Madrid. Come mai? La ragione è solo politica». Due mesi fa Vila è stato a un passo dall’arresto, gli sarebbe bastato negare alcune restituzio­ni ordinate dai giudici. Ora si avvicina il momento della sentenza sugli affreschi: restano a Barcellona o tornano a Sigena? Per il ministro lo schiaffo sui dipinti medievali servirebbe a far capire ai catalani il prezzo di un divorzio da Madrid. «Solo fantasie — assicura al Financial Times il sindaco di Sigena Alfonso Salillas —. Tanto più che io tifo Barça e non Real Madrid». La verità sta nella tensione tra i due schieramen­ti che interpreta­no ogni sospiro in modo fazioso. Ha fatto scintille l’ipotesi di espellere il Barcellona FC dalla Serie A spagnola in caso di indipenden­za: con un campionato mignon che squadra diventereb­be? Ha indignato la possibilit­à di deviare il corso dei fiumi che entrano in Catalogna e preoccupat­o l’ipotesi di aprire collegamen­ti con l’Europa alternativ­i alla via costiera per isolare la Catalogna. Ora il contenzios­o sugli affreschi fa pensare ad un piano di spoliazion­e artistica. Tutte voci, ipotesi che diventano provocazio­ni e agitano i peggiori pensieri. Il problema è che la pentola bolle, ma nessuno ai fornelli si sogna di abbassare.

Verso la sentenza

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Contesi Gli affreschi dell’abbazia di Sigena oggi esposti al Museo nazionale d’arte della Catalogna, a Barcellona
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