L’INCUBO DEI NOSTRI GIORNI IL MINISTERO DELLA POST-VERITÀ
Battaglia La tentazione di un controllo internazionale sulle fake news sposta il dibattito in una dimensione normativa che denuncia una filosofia autoritaria
Cospirazione È complottismo l’idea di una centrale che manovra le informazioni per manipolare il voto Pericolo Chiedere il soccorso di autorità esterne vuole dire attribuire compiti di censura insensati
Le fake news, come vengono definite ora le notizie false, taroccate, contraffatte che circolano nel web, possono fare molto male, però, purtroppo, anche allo spirito di chi ad esse vorrebbe opporsi con mezzi che sono insieme illusori e pericolosi. La tentazione di un controllo internazionale sulle «bufale» online, recentemente ripresa dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, sposta il dibattito sulla cosiddetta «post-verità», in una dimensione normativa che denuncia una filosofia autoritaria. Con che diritto una presunta commissione non si sa da chi nominata si arrogherebbe la missione di ripulire dall’alto una Rete caotica, spesso addirittura isterica e violenta, e che tuttavia rispecchia l’affrancamento di un numero incalcolabile di persone dalle «intermediazioni» consacrate, dal notiziario vidimato dalle patenti corporative, dai bollini e dalle tessere professionali, dal monopolio delle notizie sinora esercitato dai media tradizionali? E poi come dovrebbe funzionare questo organo mondiale della Verità che scruta ogni pagina dei miliardi di presenze nei social alla ricerca della bugia che fa male alla democrazia? Composto da chi? E quali criteri per stabilire cosa sia, per eliminarla tramite censura, una bugia intera intera, una bugia a metà, una verità ritoccata? E poi, è davvero così ovvio che un mucchio di menzogne possa addirittura condizionare l’esito di un’elezione?
Ecco, la guerra santa contro le fake news, uscita malamente dai binari di una interessante discussione su come circolino idee e informazioni ai tempi dell’anarchia del web, rischia di far suo un paradigma cospirazionista che è opposto ma concettualmente identico al complottismo sfrenato di cui i propalatori di bufale sono prigionieri. L’idea cioè che esista una centrale che manovra false informazioni fino al punto di manipolare e condizionare l’andamento delle elezioni. Ha vinto la Brexit e la colpa sarebbe delle centrali occulte delle fake news? Vince Trump negli Stati Uniti e dobbiamo scoprire dove sia la Spectre segretissima che manovra da posti irraggiungibili per imbottire la testa degli elettori di bugie inevitabilmente orientate a far trionfare qualcuno in una competizione elettorale? A me sembra che, portata agli estremi, questa tesi ispirata al più sfrenato complottismo non sia concettualmente molto diversa da quei fabbricanti di cospirazioni universali che fantasticano di scie chimiche e di microchip inseriti sotto la pelle degli ignari cittadini del mondo da parte di potenze misteriose e immerse nel buio della malvagità.
Ma c’è un solo modo per arginare la forza delle notizie false e manipolate: combattere una battaglia di controinformazione democratica, fatto contro bugia, argomento contro falsificazione, dati contro fantasie. Chiedere il soccorso invece di autorità esterne, o addirittura chiedere ai responsabili dei social un controllo preventivo su tutto ciò che esce in Rete, è delegarli in modo assurdo di compiti di censura insensati. Rendere responsabile Facebook per le menzogne che circolano al suo interno (ma del resto esiste già un filtro per individuare e silenziare i portatori di odio, i diffamatori professionali, i linciatori che si nascondono dietro profili falsi) è come accusare la rete autostradale delle infrazioni degli automobilisti che percorrono le autostrade.
Esiste poi la pretesa di «verità» che nella tentazione dei censori viene data per scontata, come se loro ne fossero gli interpreti autorizzati, i monopolisti esclusivi. George Orwell non aveva ribattezzato per caso come «Ministero della Verità» l’organo poliziesco di cui il potere totalitario doveva disporre per controllare il presente, il passato e dunque anche il futuro delle uniche notizie passate al setaccio del Grande Fratello. Solo che Orwell aveva in mente il comunismo di Stalin, un potere assoluto e centralizzato che controllava ogni piega della società, e non lo strapotere delle tecnologie, come spesso si dice nelle interpretazioni «post-veritiere» del meraviglioso 1984. Oggi si vuole riesumare un organismo che, sia pur animato dalle migliori intenzioni, dovrebbe stabilire d’autorità ciò che può essere pubblicato da ciò che deve essere depurato, cancellato, silenziato? Stupisce che chi ha giustamente criticato le scempiaggini grilline sul «tribunale del popolo» che dovrebbe mettere alla gogna i media tradizionali, stampa e tv, non abbia prestato altrettanta allarmata attenzione alla tentazione di un tribunale che con la scusa di difendere la trasparenza democratica fa ricorso al più antidemocratico e autoritario dei rimedi. Se il Ministero della Verità era l’incubo di Orwell, quello della Post-Verità non lo è da meno.