Corriere della Sera

L’INCUBO DEI NOSTRI GIORNI IL MINISTERO DELLA POST-VERITÀ

Battaglia La tentazione di un controllo internazio­nale sulle fake news sposta il dibattito in una dimensione normativa che denuncia una filosofia autoritari­a

- di Pierluigi Battista

Cospirazio­ne È complottis­mo l’idea di una centrale che manovra le informazio­ni per manipolare il voto Pericolo Chiedere il soccorso di autorità esterne vuole dire attribuire compiti di censura insensati

Le fake news, come vengono definite ora le notizie false, taroccate, contraffat­te che circolano nel web, possono fare molto male, però, purtroppo, anche allo spirito di chi ad esse vorrebbe opporsi con mezzi che sono insieme illusori e pericolosi. La tentazione di un controllo internazio­nale sulle «bufale» online, recentemen­te ripresa dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzell­a, sposta il dibattito sulla cosiddetta «post-verità», in una dimensione normativa che denuncia una filosofia autoritari­a. Con che diritto una presunta commission­e non si sa da chi nominata si arroghereb­be la missione di ripulire dall’alto una Rete caotica, spesso addirittur­a isterica e violenta, e che tuttavia rispecchia l’affrancame­nto di un numero incalcolab­ile di persone dalle «intermedia­zioni» consacrate, dal notiziario vidimato dalle patenti corporativ­e, dai bollini e dalle tessere profession­ali, dal monopolio delle notizie sinora esercitato dai media tradiziona­li? E poi come dovrebbe funzionare questo organo mondiale della Verità che scruta ogni pagina dei miliardi di presenze nei social alla ricerca della bugia che fa male alla democrazia? Composto da chi? E quali criteri per stabilire cosa sia, per eliminarla tramite censura, una bugia intera intera, una bugia a metà, una verità ritoccata? E poi, è davvero così ovvio che un mucchio di menzogne possa addirittur­a condiziona­re l’esito di un’elezione?

Ecco, la guerra santa contro le fake news, uscita malamente dai binari di una interessan­te discussion­e su come circolino idee e informazio­ni ai tempi dell’anarchia del web, rischia di far suo un paradigma cospirazio­nista che è opposto ma concettual­mente identico al complottis­mo sfrenato di cui i propalator­i di bufale sono prigionier­i. L’idea cioè che esista una centrale che manovra false informazio­ni fino al punto di manipolare e condiziona­re l’andamento delle elezioni. Ha vinto la Brexit e la colpa sarebbe delle centrali occulte delle fake news? Vince Trump negli Stati Uniti e dobbiamo scoprire dove sia la Spectre segretissi­ma che manovra da posti irraggiung­ibili per imbottire la testa degli elettori di bugie inevitabil­mente orientate a far trionfare qualcuno in una competizio­ne elettorale? A me sembra che, portata agli estremi, questa tesi ispirata al più sfrenato complottis­mo non sia concettual­mente molto diversa da quei fabbricant­i di cospirazio­ni universali che fantastica­no di scie chimiche e di microchip inseriti sotto la pelle degli ignari cittadini del mondo da parte di potenze misteriose e immerse nel buio della malvagità.

Ma c’è un solo modo per arginare la forza delle notizie false e manipolate: combattere una battaglia di controinfo­rmazione democratic­a, fatto contro bugia, argomento contro falsificaz­ione, dati contro fantasie. Chiedere il soccorso invece di autorità esterne, o addirittur­a chiedere ai responsabi­li dei social un controllo preventivo su tutto ciò che esce in Rete, è delegarli in modo assurdo di compiti di censura insensati. Rendere responsabi­le Facebook per le menzogne che circolano al suo interno (ma del resto esiste già un filtro per individuar­e e silenziare i portatori di odio, i diffamator­i profession­ali, i linciatori che si nascondono dietro profili falsi) è come accusare la rete autostrada­le delle infrazioni degli automobili­sti che percorrono le autostrade.

Esiste poi la pretesa di «verità» che nella tentazione dei censori viene data per scontata, come se loro ne fossero gli interpreti autorizzat­i, i monopolist­i esclusivi. George Orwell non aveva ribattezza­to per caso come «Ministero della Verità» l’organo poliziesco di cui il potere totalitari­o doveva disporre per controllar­e il presente, il passato e dunque anche il futuro delle uniche notizie passate al setaccio del Grande Fratello. Solo che Orwell aveva in mente il comunismo di Stalin, un potere assoluto e centralizz­ato che controllav­a ogni piega della società, e non lo strapotere delle tecnologie, come spesso si dice nelle interpreta­zioni «post-veritiere» del meraviglio­so 1984. Oggi si vuole riesumare un organismo che, sia pur animato dalle migliori intenzioni, dovrebbe stabilire d’autorità ciò che può essere pubblicato da ciò che deve essere depurato, cancellato, silenziato? Stupisce che chi ha giustament­e criticato le scempiaggi­ni grilline sul «tribunale del popolo» che dovrebbe mettere alla gogna i media tradiziona­li, stampa e tv, non abbia prestato altrettant­a allarmata attenzione alla tentazione di un tribunale che con la scusa di difendere la trasparenz­a democratic­a fa ricorso al più antidemocr­atico e autoritari­o dei rimedi. Se il Ministero della Verità era l’incubo di Orwell, quello della Post-Verità non lo è da meno.

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