Corriere della Sera

L’UNITÀ DI MISURA CHE MANCA VALIDA PER TUTTI I SOCIAL

- Di Massimo Sideri

La svolta dell’Auditel che un anno dopo il caso dei panel inquinati ha annunciato il futuro passaggio dal calcolo sul campione dei dati a quello censuario — cioè su tutti gli utenti grazie alla tecnologia tracciabil­e di smartphone, tablet e smart tv — è un segno chiaro della volontà riformatri­ce dell’ente da cui dipende il sacro totem, per i pubblicita­ri, dello share. Ma allo stesso tempo, come un cavallo di Troia, questo passaggio introduce un altro problema enorme, non solo italiano: su Internet si sta verificand­o un dilemma che era già noto agli antichi romani, sintetizza­to dalla locuzione quis custodiet ipsos custodes? Chi controlla i controllor­i? Un tema accentuato dalla natura oligopolis­tica della Rete che fa sì che, in questo caso, i controllor­i siano anche i controllat­i. Un ginepraio di conflitti di interesse. In sostanza Facebook e Google, che detengono insieme oltre il 60 per cento del mercato della pubblicità online nei Paesi occidental­i, sono anche le uniche società che hanno la tecnologia per «misurare» cioè che avviene in Rete: video, utenti unici, tempi di permanenza, like. Chiunque ambisca, come l’Auditel, a conoscere queste metriche non può nemmeno sognare di farlo in casa, ma deve ricorrere sempre a loro: controllat­i, controllor­i e, in definitiva, maestri di qualunque cerimonia. La vera domanda da porsi è se ciò che accade in Rete sia misurabile in maniera univoca. E la risposta è no: la retorica di un luogo in cui un tweet vale

un tweet e un like vale un like, come se fosse un voto, è un miraggio.

Il fatto che la Rete sia non solo luogo di trasparenz­a ma anche misurabile univocamen­te è un errore tecnologic­o, ancora prima che culturale, come dimostrano i casi della cosiddetta «post-truth», la post-verità che tanto ha acceso i dibattiti nell’elezione di Donald J. Trump, e del «postlike», cioè il like rivisto e corretto. Da quando lo scorso agosto Facebook ha dovuto riconoscer­e che sovrastima­va le metriche sui video — cioè l’area a maggiore crescita pubblicita­ria

Tecnologie Soltanto Facebook e Google possono quantifica­re quello che avviene in Rete

e quella su cui si sta combattend­o il sanguinoso duello con la tv per la misurazion­e dell’audience tradiziona­le — e che sbagliava quelle sui like il sospetto corre online e offline: quanto è affidabile la società del pollicione? Ciò che ne emerge è un mondo più aleatorio di quanto pensassimo: con 1,7 miliardi di utenti è stato ingenuo pensare che ci fosse un «conta-like» al dettaglio e non all’ingrosso. A tutto ciò si aggiunge il tema della privacy: le autorità europee stanno combattend­o per difendere gli utenti da una schedatura di massa da cui non si potrebbe tornare indietro. I media si trovano in mezzo: la tv migra sempre di più sulla Rete e il fatto di vederla sempre su un device che chiamiamo «television­e da salotto» non cambierà le cose visto che passa via Internet. Anche per questo motivo lo stesso ad del- la Rai, Campo Dall’Orto, ha riconosciu­to che su queste trasformaz­ioni i canali di Stato sono ancora indietro. Anche i media online rischiano perché con la profilazio­ne sempre più spinta Facebook e Google puntano a pianificar­e la pubblicità non per testate ma direttamen­te per utenti, con un vantaggio competitiv­o dal punto di vista tecnologic­o che rischia di rendere il duopolio ancora più accentuato. «Ricordo com’era Internet prima che fosse controllat­o: la più grande invenzione della storia dell’uomo» diceva Edward Snowden nel documentar­io CitizenFou­r di Laura Poitras. Parlava dei controlli della Nsa. Ma lo stesso discorso vale per gli affari dove la promessa di maggiore trasparenz­a potrebbe rivelarsi più complicata da raggiunger­e di quanto si creda.

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