IL CASO POLETTI JUNIOR: DAI POST AI PROIETTILI, UN PASSAGGIO CHE INQUIETA
Dalle minacce online siamo passati nel giro di qualche giorno alle intimidazioni offline. Manuel Poletti, giornalista e figlio del ministro del Lavoro Giuliano, è stato messo alla gogna prima su Facebook e poi, ieri, gli sono arrivati in redazione tre proiettili calibro 9 accompagnati da un messaggio esplicito: «Ti ammazziamo, guardati alle spalle». Ovviamente su un episodio di questo tipo si possono costruire mille congetture, da quella relativamente più rassicurante sull’incremento del numero dei mitomani fino a quella che ci rimanda a passate e drammatiche stagioni della nostra storia nazionale. Confidiamo nella prima ma non per questo la vicenda può essere archiviata con un’alzata di spalle. Dal commento, anche più inquietante, scritto di getto e postato in Rete all’organizzazione di una intimidazione via posta con invio di proiettili c’è comunque un piccolo upgrading organizzativo. Che va segnalato. Di che cosa poi è accusato Poletti junior? Innanzitutto di essere figlio di un ministro che nel mese di dicembre è salito all’onore delle cronache per un incredibile giudizio dato sui giovani costretti ad emigrare per lavoro. E poi per essere direttore di un settimanale romagnolo, Setteserequi, che gode di generosissimi contributi pubblici. A censurare Poletti senior ci ha pensato addirittura il presidente della Repubblica nel suo discorso di San Silvestro, quanto alle provvidenze elargite a un giornale a diffusione tutto sommato contenuta chi le reputasse un favore politico e una distorsione delle regole della concorrenza può benissimo presentare un esposto alle autorità competenti e chiedere una verifica amministrativa. So di dire cose tutt’altro che inedite, sostengo solo che i conflitti sono parte integrante delle società aperte. Per certi versi ne costituiscono addirittura il sale. I proiettili rappresentano altro, sono lo strumento e il segno distintivo della criminalità. Teniamolo a mente.