Corriere della Sera

Due casi diversi, di sazietà e di stanchezza

- di Mario Sconcerti

Idue piccoli casi di inizio anno, Allegri e Spalletti, mi sembrano possibili ma molto diversi. Quando, come Allegri, si vince in serie, si è sempre ugualmente vicini al rilancio e all’addio. Non capita molte volte di poter scegliere. È giusto, quando capita, farsi molte domande e valutare bene ogni sintomo. Altra cosa Spalletti, il cui sfogo è diretto, pesante e rivolto contro i limiti della società. Spalletti in pratica racconta ad Allegri la sua grande fortuna di vivere in una società che fa sempre tutto per accontenta­rlo. Difficile mettere due casi opposti sulla stessa linea. Allegri semmai è sazio, Spalletti è stanco. Allegri si allarga in un ruolo che rasenta quello della società e questo o è concordato con Agnelli, o è un’improvvisa sindrome di potenza che può non essere gradita alla presidenza. Per come conosco la Juve, non credo si sia al punto della sovrapposi­zione, molto più facile si sia deciso, in fondo a una sconfitta leggera ma seccante, che tocchi al tecnico la parte del poliziotto cattivo. Spalletti naviga in tutt’altro mare, ha un presidente a Boston e un referente tecnico che non c’è più, Sabatini. Alle spalle una città immensa e verbosa più una società confusa dall’efficienza dell’avversario. Per come lo conosco Spalletti ha già fatto molti sforzi di auto contenimen­to. È cambiato nel modo di comunicare, almeno fino a ieri. È diventato sacerdotal­e, un po’ prolisso, meno toscano, quasi tomista, cerca logica dovunque, cioè quello che non è mai stato. Sono sintomi di un forte stress. Ma anche noi siamo stressati se cerchiamo i primi di gennaio due casi tecnici per la prima e la seconda in classifica. La differenza comunque è netta. Allegri è in difficoltà di finta abbondanza, Spalletti ha cenni di rassegnazi­one. Tutti e due non hanno problemi di occupazion­e, parliamo di grandi tecnici ormai internazio­nali. Possono andare dove vogliono. Ripropongo­no semmai la differenza storica tra le due società, i due mondi che rappresent­ano. Uno austero e quasi imperiale, troppo vasto per essere gestito da qualcosa di diverso dal silenzio. L’altro in balia del proprio sentimento quasi opprimente. Ma hanno di base due grandi squadre ben allenate. Se parliamo in modo incerto di loro, con queste probabilit­à un po’ vigliacche, cosa dovremmo dire degli altri?

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