Corriere della Sera

«Il calcio è ricerca»

Fernando Santos, il c.t. che ha conquistat­o l’Europa con il Portogallo «La nostra scuola è frutto della nostra cultura: noi sappiamo vedere oltre l’orizzonte. Se trovo un ostacolo non mi fermo, cerco una soluzione»

- Luca Valdiserri

Flashforwa­rd. Il tempo per l’intervista vera e propria è finito. Ma Fernando Santos, c.t. del Portogallo campione d’Europa, ha ancora voglia di parlare. «Eusebio! Eusebio! E da voi, in Italia, Rivera, Mazzola, Riva... Calcio allo stato puro. Per quelli della mia generazion­e, Eusebio è stato qualcosa di imparagona­bile. Non so descriverl­e cosa è stato, per me, averlo vicino. Allenarmi insieme a lui quando ero un ragazzo. Lavorarci insieme. Se lei mi chiede se era più forte Eusebio o se è più forte Cristiano non so rispondere. Non si possono paragonare due epoche, tanto meno se una è stata quella della tua gioventù». Nota a margine: ogni volta che, nel corso dell’intervista, Fernando Santos ha parlato di Cristiano lo ha definito «il miglior giocatore del mondo». All’interno della stessa epoca, evidenteme­nte, le classifich­e si possono fare. E quella del commissari­o tecnico portoghese, con buona pace di Leo Messi, è senza se e senza ma.

Flashback.

Tempo di bilanci. Sei mesi fa il Portogallo ha conquistat­o, tra la sorpresa di molti, il titolo europeo. Realizzare un sogno è una meraviglio­sa fine o l’inizio di una storia nuova?

«Diciamo che è stato un passo importante. Per tanti anni abbiamo pensato di vincere un titolo con la Nazionale maggiore e alla fine, fortunatam­ente, ci siamo riusciti. Il fatto più importante, per me, è la conquista collettiva: giocatori, dirigenti, staff tecnico. Per vincere abbiamo lavorato tanto e abbiamo lavorato insieme. È stata una pietra miliare, di sicuro, perché resterà negli annali. Però bisogna lavorare per il futuro. Il Portogallo è sempre stata una Nazionale forte, adesso è arrivato il momento di consolidar­e».

Quali sono le differenze maggiori tra la scuola di calcio italiana e quella portoghese?

«Sono il prodotto di due culture differenti. Quello che mi piace di più del calcio italiano è l’attenzione a livello tattico. In questo senso, per ogni allenatore, è un’influenza. A volte il vostro gioco può non essere spettacola­re, ma non è mai improvvisa­to. Il calcio è fatto di tante qualità, non solo della bellezza».

Come descrivere­bbe il calcio portoghese a chi non conosce il calcio?

«Gli direi che è il frutto della nostra storia. I portoghesi, in un certo senso, hanno allargato il mondo. Siamo noi ad aver scoperto il Brasile. Abbiamo la capacità di vedere oltre l’orizzonte. Se trovo un ostacolo, non mi fermo: cerco una soluzione».

Vincere un Europeo con Cristiano Ronaldo è una grande soddisfazi­one. Vincere la finale senza Cristiano Ronaldo, per un allenatore, è il sogno dei sogni?

«Primo: Cristiano ha giocato un pezzo di finale. Secondo: la sua presenza a bordo campo, dopo che era uscito per infortunio, è stata come avere un dodicesimo giocatore. Si ricorda quanto ha partecipat­o alle sorti della squadra?».

C’è chi dice anche troppo. L’allenatore sembrava lui...

«Partecipar­e con il cuore alle sorti della propria squadra è sempre una forza, mai un difetto. Nessun allenatore al mondo rinuncereb­be mai a un giocatore come Cristiano, il migliore al mondo. La strategia francese era stata sicurament­e preparata su di lui, ma il Portogallo era così equilibrat­o che non ha perso la sua efficacia. Se mi permette la parola siamo stati bravi ad “approfitta­re” di quella che era, calcistica­mente, una disgrazia. Siamo passati dal 44-2 al 4-3-3 e il nostro gioco non ne ha risentito. Ripeto: la vittoria è stata del collettivo».

Avete passato il primo turno tra le squadre ripescate. La nuova formula vi ha favorito?

«Il regolament­o era lo stesso per tutti, non è stata fatta un’eccezione per noi. Eravamo in un girone difficile, come ha dimostrato la strada fatta all’Europeo dalle nostre avversarie, a partire dall’Islanda. Ma anche in quelle prime partite il Portogallo aveva le migliori statistich­e dell’Europeo per tiri verso la porta avversaria, passaggi decisivi, possesso palla...».

Si è laureato in ingegneria a 23 anni, mentre stava facendo anche il calciatore. Come è stato possibile?

«I miei genitori erano tifosi del Benfica. Anche qualcosa in più che tifosi. Il calcio è entrato nella mia vita quando avevo 40 giorni: mi portarono, in culla, all’inaugurazi­one dello stadio Da Luz, l’1 dicembre 1954. Mi è sempre piaciuto giocare a pallone, ma non pensavo di diventare calciatore. Feci un provino per il Benfica e lo superai, ma mio padre era contrario: devi studiare, mi diceva. Il Benfica superò l’ostacolo dandomi una borsa di studio, così continuai a studiare e giocare. Non pensavo di diventare nemmeno allenatore, ma poi il caso decise altrimenti. Giocavo all’Estoril e lavoravo anche come direttore di uno degli hotel del presidente. Avevo 40 persone da gestire, praticamen­te una squadra. Consigliai al presidente il mio amico Antonio Fidalgo come allenatore e lui disse che accettava se gli facevo da secondo. Tutto è nato lì».

È un allenatore aperto al dialogo?

«Parlo molto con i miei giocatori, ma ho le mie idee. E non confondo mai il calciatore con la persona».

In Italia abbiamo visto il vero Joao Mario?

«Scoprirete presto quante cose sa fare».

Renato Sanchez? Sembra essersi fermato...

«Deve fare la sua esperienza, ma il talento è enorme. Sta andando a una scuola eccellente, quella di Ancelotti. Dagli italiani, tatticamen­te, c’è sempre qualcosa da imparare».

Lei è in corsa con Ranieri e Zidane per il titolo di miglior allenatore dell’anno: chi lo merita di più?

«Le classifich­e le fate voi. Posso dirle che il Leicester ha fatto un’impresa storica eppure ho sentito dire che ha vinto perché le favorite non hanno giocato al loro livello. Ma se tu non fai il tuo — e Ranieri lo ha fatto al massimo — nessuno ti può aiutare. Vale anche per Zidane: il Real Madrid è pieno di campioni, ma li hanno anche il Barcellona, il Bayern, il Manchester... Quanto a me, sono felice di quello che ho fatto e curioso del mio futuro: ho firmato con la Federazion­e fino al 2020, vogliamo costruire insieme un progetto che duri a lungo. Il calcio portoghese se lo merita».

I miei genitori tifavano Benfica: a 40 giorni mi portarono allo stadio, ma ho iniziato per caso

Feci un provino, lo superai, ma mio padre voleva che studiassi e a 23 anni mi sono laureato in Ingegneria

Eusebio resta senza paragoni, non so descrivere cosa è stato per me lavorare da ragazzino con lui

Ronaldo è il migliore del mondo, nella finale di Parigi è stato importante anche da bordo campo

Chi merita di più il premio di miglior allenatore tra Ranieri, Zidane e me? Le classifich­e le fate voi, io posso solo dire che il Leicester ha fatto un’impresa storica e il Real non è l’unica squadra piena di stelle

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Momenti e idoli Dall’alto, Ronaldo trattiene Fernando Santos al termine della finale dell’Europeo contro la Francia; Eusebio, l’idolo del c.t.; Santos e, qui sopra, lo sbarco a Lisbona con la Coppa (Epa, Reuters, Afp)

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