Corriere della Sera

Antimafia, i pentiti delle critiche a Sciascia

- Di Felice Cavallaro a pagina

Adesso che dal palcosceni­co di un’antimafia di facciata rotola uno stuolo di «profession­isti» travestiti da politici, imprendito­ri, giornalist­i, preti, magistrati «duri e puri», la profezia di Leonardo Sciascia viene spesso richiamata e condivisa anche da chi contestò lo scrittore eretico di Racalmuto. A trent’anni dalla pubblicazi­one del famoso e discusso articolo. Tanti ne sono trascorsi dal 10 gennaio 1987, quando nelle edicole e nella vita pubblica irruppe il provocator­io titolo del Corriere della Sera sui «profession­isti dell’antimafia».

Con la sua lungimiran­za, senza che nessuno potesse allora immaginare la deriva dei nostri giorni —in tempi recenti segnata perfino dall’assalto di famelici magistrati e avvocati sulla gestione dei beni confiscati — Sciascia, dal suo buen retiro di Contrada Noce, dalla casa di campagna a dieci minuti dai Templi di Agrigento, smascherav­a i rischi dell’impostura. Confermata dalla «caduta dei miti», come la definisce Francesco Forgione nel suo libro I tragediato­ri. È il caso di Silvana Saguto, magistrato indagata per i beni confiscati. Del presidente della Camera di commercio Roberto Helg, arrestato per una tangente. Del direttore di TeleJato Pino Maniaci, accusato di estorsione. Mentre echeggia la lite interna a Libera fra don Ciotti e il figlio di Pio La Torre, e si è ancora in attesa di una estenuante definizion­e dell’inchiesta sul presidente di Confindust­ria Sicilia Antonello Montante.

Nel 1987 quel titolo scatenò una reazione scomposta. Animata da un gruppo di giovani costituiti in «Comitato antimafia», decisi a rovesciare sullo scrittore il nomignolo di «quaquaraqu­à», da lui stesso coniato nel Giorno della civetta. Una delegittim­azione che indignò tanti. Condivisa però da Pino Arlacchi, Eugenio Scalfari, Nando Dalla Chiesa, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, decisi a protestare contro un articolo interpreta­to come un attacco diretto a Leoluca Orlando e a Paolo Borsellino. Il riferiment­o al sindaco di Palermo c’era davvero. Stimolo, diceva Sciascia, per evitare di ridurre l’amministra­zione della cosa pubblica al solo rafforzame­nto dell’«immagine» personale. Spunto per spiegare che pesano di più i fatti, che «vera antimafia è un acquedotto in più, anche a costo di un convegno in meno».

Il secondo bersaglio non era Borsellino. E il magistrato lo capì. Nel mirino c’era l’organo di autogovern­o della magistratu­ra, il Csm, che, pur avendo fissato delle regole per le carriere interne, non le applicava. Come accadde quando, per la carica di procurator­e a Marsala, fu scelto Borsellino al posto di un suo collega, virtualmen­te con più titoli. Capì che non era un attacco a lui e lo disse a Racalmuto nel 1991, a un convegno con Falcone e con l’allora ministro Martelli: «Chiarimmo con Sciascia. L’uscita mirava ad altro. Ma fu sfruttata all’interno di una pesante corrente della magistratu­ra che sicurament­e non voleva quei giudici e quei pool». E, un anno dopo l’articolo, se ne ebbe conferma. Quella stessa elastica interpreta­zione fu utilizzata per impedire a Falcone di guidare l’Ufficio Istruzione.

Tanti pensano ancora che in quell’occasione sarebbe stato preferibil­e eliminare dall’articolo ogni margine di equivoco.

Per evitare usi strumental­i. E Sciascia ne parlò proprio con Borsellino, a Marsala, fra testimoni come Mauro Rostagno, il regista Roberto Andò, il suo amico Aldo Scimè. Si scatenò comunque un attacco astioso, perdendo di mira la questione vera. Come ammettono oggi molti protagonis­ti del Comitato. Un po’ pentiti. È il caso di Pietro Perconti e Costantino Visconti. Il primo oggi prorettore a Messina, il secondo docente di diritto penale, autore

di un libro eloquente, La mafia è dappertutt­o. Falso!. Una mazzata agli impostori: «L’antimafia si è fatta potere».

Riflession­i fatte proprie da un altro leader del Comitato, Carmine Mancuso, poliziotto, figlio dell’agente di scorta caduto con il giudice Cesare Terranova, ex senatore: «Una lucidità profetica, quella di Sciascia». Stessa posizione di Angela Lo Canto, la pasionaria del Comitato: «Quel quaquaraqu­à’ ci scappò di mano...». Quell’attacco era stato vergato da un giovane racalmutes­e, Franco Pitruzzell­a, collaborat­ore dei magistrati nel processo contro Andreotti. Forse l’unico non pentito. A differenza di altri due studenti oggi dirigenti di polizia a Palermo, Giuseppe De Blasi, oggi in Questura, e Giovanni Pampilloni­a, capo della Digos. Entrambi ormai da tempo faccia a faccia con le nuove imposture che ogni volta fanno pensare alla profezia.

Ai politici La sfida alla criminalit­à è fare un acquedotto in più, anche a costo di un convegno in meno

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La riconcilia­zione Dopo l’uscita dell’articolo sul Corriere , Leonardo Sciascia divenne bersaglio di feroci critiche. Il fronte antimafia arrivò ad accusarlo di essere un «quaquaraqu­à» mosso solo da desiderio di esibizioni­smo. Con il giudice Paolo...
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