Corriere della Sera

Iran, la morte di Rafsanjani il mediatore

L’ex presidente scomparso per un infarto a 82 anni Aveva mediato per raggiunger­e l’accordo sul nucleare

- Di Viviana Mazza

La voce dell’annunciatr­ice alla tv iraniana tremava nel dare la notizia. È morto ieri per un infarto Akbar Hashemi Rafsanjani, 82 anni. Dire che è stato un ex presidente della Repubblica Islamica non rende l’idea: per tutta la vita è stato un manovrator­e della politica iraniana, tanto da meritarsi soprannomi come «Akbar Shah» (grande re). Era il nume tutelare dei moderati e dei riformisti, capeggiati dall’attuale presidente Hassan Rouhani, che credono nell’apertura all’Occidente e in maggiori libertà sociali. «Ora sui social network, giovani e riformisti temono che le forze moderate in Iran saranno indebolite», spiega Farahmand Alipour, attivista in esilio in Italia.

Insieme agli ayatollah Ruhollah Khomeini e Ali Khamenei, Rafsanjani è stato uno dei padri fondatori della Repubblica Islamica nel 1979. Nato da una famiglia benestante di coltivator­i di pistacchi, sposato con una donna più ricca di lui, la sua fortuna è stimata intorno a un miliardo di dollari. Studiò teologia, finì in prigione sotto lo Scià, ed emerse come uno dei più ascoltati consiglier­i di Khomeini. Alla morte dell’ayatollah, nel 1989, fu Rafsanjani — allora capo del Parlamento — ad aiutare Khamenei a diventare Guida Suprema, benché quest’ultimo non avesse il prestigio del predecesso­re. L’astuto Rafsanjani esibì una lettera dichiarand­o che esprimeva la volontà del defunto Khomeini. Pensava di usare Khamenei come facciata e di detenere il vero potere e fu presidente fino al 1997. Ma poi i rapporti tra i due cominciaro­no a deteriorar­si. «Uno scontro di idee, ma soprattutt­o di potere — spiega Alipour —. Rafsanjani era un pragmatico, è stato il primo a credere nel liberalism­o economico, in migliori rapporti con Usa e Arabia Saudita».

Consapevol­i della sua influenza, Khamenei e i suoi seguaci ultraconse­rvatori e pasdaran lo hanno pian piano ridimensio­nato. È stato etichettat­o come «aristocrat­ico», «capitalist­a», «sostenitor­e dell’Islam americano». Nel 2005, perse le elezioni presidenzi­ali contro lo sconosciut­o Mahmoud Ahmadineja­d. Non erano solo gli ultraconse­rvatori a odiarlo: il rapporto con i riformisti fu a volte complicato, perché il suo ministro dell’intelligen­ce uccise intellettu­ali e dissidenti. E ci sono altre ombre sul suo passato, come le accuse di coinvolgim­ento nell’attentato del 1994 al centro ebraico di Buenos Aires.

La spaccatura con Khamenei peggiorò nel 2009, quando Rafsanjani appoggiò il Movimento Verde che accusava Ahmadineja­d di brogli elettorali. Così quando nel 2013, a 79 anni, tentò di ricandidar­si alla presidenza, il Consiglio dei Guardiani (espression­e della volontà della Guida Suprema) mise il veto. «Era come dire: sei finito — spiega Alipour —. Gli tolsero la possibilit­à di tenere la preghiera del Venerdì all’Università di Teheran, due dei suoi figli, sostenitor­i del Movimento Verde, furono incarcerat­i. Ma Faezeh Hashemi, la figlia, probabilme­nte continuerà la strada del padre. Non è solo pragmatica, è più progressis­ta e molto coraggiosa».

Quest’anno ha avuto il fegato di far visita alla leader della minoranza religiosa Bahai, perseguita­ta in Iran; non le hanno permesso di candidarsi alle elezioni parlamenta­ri.

Che conseguenz­e avrà la morte di Rafsanjani in vista delle presidenzi­ali di maggio? Ellie Geranmayeh, esperta iraniana dello European Council on Foreign Relations dice al Corriere che l’ex presidente era stato «cruciale nel mettere insieme le fazioni politiche che hanno appoggiato il centrista Rouhani nel 2013. Così Rouhani ha perso uno dei suoi sostenitor­i chiave». Rafsanjani inoltre, che a suo tempo contribuì a creare il programma nucleare iraniano, è stato uno dei mediatori dell’accordo per

«Grande re» Manovrator­e della politica iraniana, si era meritato soprannomi come «Grande re»

limitarlo, raggiunto a Vienna nel 2015 con le grandi potenze mondiali. Ora Rouhani dovrà affrontare con un alleato in meno l’incertezza dell’era Trump. «Non sarà un danno enorme, aveva perso il suo potere» dice Alipour. Ma poi pensa al futuro: «Rafsanjani era membro dell’Assemblea degli Esperti, che sceglierà la prossima Guida Suprema. Avrebbe potuto spingere per una scelta più moderata».

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