Era l’interlocutore perfetto per dialogare con Trump
Rafsanjani era un re del business, la rivista statunitense Forbes lo aveva inserito nell’elenco degli uomini più ricchi al mondo (nel 2003) e per questo sarebbe stato l’interlocutore ideale per il presidente americano Donald Trump: miliardari prestati alla politica, alle spalle imperi economici gestiti dai clan famigliari.
Rafsanjani proveniva da una famiglia di produttori di pistacchi della regione di Kerman. Il suo clan si arricchisce in prima battuta con il boom immobiliare degli anni Settanta. La Rivoluzione del 1979 permette a un fratello di mettere le mani sulla più importante miniera di rame, e a un altro di controllare la televisione di Stato. Un cognato si aggiudica la poltrona di governatore della provincia di Kerman. Altri parenti vengono nominati ai vertici del ministero del Petrolio. Un figlio si occupa del progetto di costruzione della metropolitana. Interessi nelle zone di libero scambio. Profitti stratosferici sui tassi di cambio. Capitali in Svizzera e Lussemburgo.
Terminata la guerra scatenata dal raìs iracheno Saddam Hussein, alla fine degli anni Ottanta Rafsanjani dà avvio alla fase di ricostruzione. L’austerità dell’Imam Khomeini viene messa da parte, con Rafsanjani alla presidenza l’arricchimento assume una valenza etica positiva giustificata dal fatto che i mercanti del bazar hanno contribuito alla rivoluzione, finanziando gli ayatollah. Una politica economica giudicata fin troppo liberale, con l’inflazione che sfiora il 40%. Negli anni l’impero di Rafsanjani attira le critiche dei suoi oppositori, anche perché nel 2009 il Padrino (così veniva soprannominato) prende le parti dei dissidenti del Movimento verde. In un sermone del 17 luglio sulla crisi politica Rafsanjani si sofferma sulla definizione di Repubblica islamica spiegando che l’aspetto islamico è fondamentale quanto quello repubblicano: se i cittadini non votano, il sistema non sta in piedi. In clima di brogli, queste dichiarazioni non piacciono ad Ahmadinejad: due figli di Rafsanjani (il quartogenito Mehdi e la figlia Faezeh, simbolo dell’emancipazione femminile) finiscono in carcere.
Pur essendo una figura di spicco dell’establishment religioso, Un conservatore pragmatico deciso a migliorare i rapporti con l’Occidente. Anche con gli Stati Uniti
Rafsanjani era un conservatore pragmatico deciso a migliorare i rapporti con l’Occidente. Anche con gli Stati Uniti, perché questo è nell’interesse dell’Iran dopo anni di sanzioni che hanno mandato i prezzi alle stelle e messo il Paese in ginocchio: l’unico modo per accontentare la popolazione è rilanciare l’economia attirando gli investimenti stranieri. E quindi rispettando l’accordo sul nucleare firmato a Vienna il 14 luglio 2015, di cui Rafsanjani fu tra i maggiori sostenitori.