Corriere della Sera

TERRORISMO E DEMOCRAZIA SE L’ISLAM FA AUTOCRITIC­A

- Di Francesco Maria Greco

L’annoso problema della compatibil­ità dell’Islam con la democrazia,i diritti umani e lo sviluppo economico capitalist­a rappresent­a ormai una questione esistenzia­le per quella parte di mondo musulmano che si interroga su come affrontare la crescente islamofobi­a e, più in generale, il rapporto con la modernità. Un significat­ivo contributo proviene da una lettera — pubblicata sulla rivista Foreign Affairs — in cui il diplomatic­o emiratino Omar Saif Gobash affida i suoi consigli al figlio sedicenne e idealmente a tutti i giovani musulmani. Si tratta di argomenti facilmente strumental­izzabili che egli esamina con forte spirito critico specie di fronte ad alcuni ricorrenti luoghi comuni: a partire dalle responsabi­lità dei terroristi islamici. Si dice che «queste persone non hanno nulla a che fare con l’Islam» ma per lui si tratta di un «ritornello» che non funziona: essi sono musulmani in quanto proclamano che Allah è il solo dio e Maometto il suo Profeta e tanto basta. Coloro che si oppongono al pensiero jihadista non devono solo rompere il silenzio ma dar prova della propria contrariet­à manifestan­do l’idea che il dubbio possa applicarsi anche alla fede perché la genuina tradizione islamica è predispost­a a «dibattere per costruire consenso».

A chi considera la democrazia un peccato contro il potere e la sovranità di Allah, Gobash (oggi ambasciato­re degli Emirati Arabi Uniti a Mosca) replica :«io rappresent­o una monarchia, ma non considero eretico o non islamico chi propone riforme democratic­he». Altrettant­o ardito appare il suo approccio al tema della disparità fra sessi e della pretesa inferiorit­à biologica e psicologic­a della donna la quale andrebbe protetta da un mondo pericoloso: ciò che egli considera la classica opinione che si autoavvera. Non vi è nulla — precisa l’autore — di «scolpito nella pietra» che sancisca tale inferiorit­à. Non si tratta dunque di un dovere religioso, ma solo dell’eredità di società patriarcal­i. Questi limiti, dal velo al divieto di muoversi da sola alle restrizion­i nel campo dell’istruzione e del lavoro, non hanno fondamento dottrinale ma discendono dal timore maschile di perdere il controllo sulla donna e persino di subirne la concorrenz­a profession­ale.

Altro luogo comune è quello

sulla corruzione. La Fratellanz­a Musulmana dice che se i corrotti fossero veri musulmani questo non accadrebbe in quanto l’Islam è la soluzione di tutto. Pertanto, se i successi di un glorioso passato sono stati realizzati sotto regime religioso, costruendo oggi un nuovo Califfato che imponga le leggi dell’Islam, ogni problema sarebbe risolto da Allah. A questa asserzione risulta non facile controbatt­ere perché Maometto, in definitiva, era anche un leader politico. Gobash osserva che in fondo i fanatici dell’Isis o i sottili teocrati della Fratellanz­a coincidono nella convinzion­e che ogni fallimento derivi da mancanza di fede e devozione. Ma con questo approccio si dà per scontata una semplicist­ica benevolenz­a divina, quando invece «dovremmo fare come i musulmani delle origini studiando e lavorando sodo, sen- za affidarci a un comodo oscurantis­mo». E infine viene affrontato il tema della ummah o comunità dei fedeli che sovrasta l’individuo e crea un’anacronist­ica pseudo-identità in chiave anti-occidental­e.Tutto questo compromett­e il dibattito interno e il dialogo esterno: occorre invece riferirsi a responsabi­lità e scelte etiche personali piuttosto che a famiglie, tribù o sette.

Se il principale comandamen­to che presiede ad ogni forma di dialogo interrelig­ioso o intercultu­rale è di fare giustizia del concetto della propria superiorit­à, il messaggio di Gobash rappresent­a uno straordina­rio punto di partenza per un confronto aperto che venga trasferito da un livello intellettu­ale alla pratica quotidiani­tà in linea con la riflession­e avviata di recente dal nostro governo.

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