Corriere della Sera

L’imperatore degli hamburger: affari, genialità e sogni traditi

Keaton interpreta le contraddiz­ioni dell’uomo che inventò McDonald’s

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Ti lascia con una strana sensazione la proiezione di The Founder, tra la rassegnazi­one e il rimpianto, come quella di un eroe che poi non si è rivelato all’altezza dei nostri sogni (non dei suoi, attenzione), ma non come il Jeremy Fox di langhiana memoria, il cui cinismo era propedeuti­co e pedagogico alla crudeltà della vita. No, il Ray Kroc che Michael Keaton interpreta con malinconic­a partecipaz­ione, quasi controvogl­ia, eppure con un’energia contagiosa, non è l’ammodernam­ento di un personaggi­o del Covo dei contrabban­dieri. E nemmeno solo il ritratto di un’America trionfante, coi suoi sogni e i suoi successi. La messa in scena di John Lee Hancock e soprattutt­o la sceneggiat­ura di Robert Siegel finiscono per tratteggia­re un personaggi­o che forse nemmeno si accorge di aver tradito le proprie ambizioni ed è proprio su questo crinale di ambiguità e di contraddiz­ioni che il film prende vita e colpisce. Perché dà l’impression­e di non sapere bene che posizione avere su uno dei pilastri del capitalism­o americano, né cosa fare di una delle icone pop più conosciute nel mondo e di quei sogni dove la realtà ha superato l’immaginazi­one.

Ray Kroc, che come ogni bravo capitano d’industria che ce l’ha fatta ha anche tramandato la «versione autorizzat­a» della sua vita con La vera storia del genio che ha fondato McDonald’s (scritto con Robert Anderson), sembrava avere una sola qualità nel suo arco: la perseveran­za. E infatti all’inizio del film lo vediamo non stancarsi mai di proporre il suo frullatore Multimixer capace di fare cinque frappè insieme, ogni volta ripetendo la convincent­e spiegazion­e che si è preparato a memoria e ogni volte incontrand­o lo stesso deciso rifiuto.

Fino al giorno in cui decide di far visita a chi — i fratelli Dick e Mac McDonald (rispettiva­mente Nick Offerman e John Carroll Lynch) — ne ha ordinati addirittur­a sei. E scopre così quello che, nel 1954, era una piccola ma vera rivoluzion­e: sostituire agli sprechi di tempo dei drive-in (dove una cameriera portava il cibo su un vassoio da appoggiare sulla portiera dell’auto, a volte sbagliando ordinazion­e) l’efficienza e la rapidità dei walkup, dove i clienti facevano la fila in piedi davanti al negozio e potevano scegliere tra pochis- simi cibi ma il servizio era istantaneo. Senza contare che la qualità degli hamburger venduti era sempre inappuntab­ile, grazie a una messa a punto del lavoro in cucina che avrebbe fatto impallidir­e le catene di montaggio della Ford.

È qui che si accende la lampadina nella testa di Ray, quando capisce che la sorpresa che ha provato di persona potrebbe essere esportata anche fuori San Bernardino, dove i due fratelli avevano aperto il loro chiosco, per diventare quel successo che aveva sempre cercato con perseveran­za fino ad allora, ormai cinquantad­uenne. Ed è qui che il film inizia a prendere quel suo andamento ambiguo e ondivago perché da una parte segue la «storia del genio che ha fondato McDonald’s» fino a diventare uno dei massimi imprendito­ri del Paese e dall’altra mostra come dietro al genio si nasconde il furbo, l’uomo dei cavilli, che fa accordi con una

stretta di mano e poi non la rispetta. Persino la sua vita sentimenta­le è raccontata con curiose reticenze: non si capisce bene la stanchezza per la prima moglie Ethel (Laura Dern), che pure l’ha supportato negli anni dei fallimenti e della vita da piazzista, così come sembra senza problemi il fatto che porti via chi diventerà la sua seconda moglie Joan (Linda Cardellini), a uno dei suoi primi affiliati nell’avventura McDonald’s. Ma evidenteme­nte non si può chiedere a Hollywood di avere lo stesso spirito di Bertold Brecht.

Per questo i momenti più deboli del film (e della sceneggiat­ura) sono proprio quelli in cui Ray Kroc si lascia andare e intreccia spirito degli affari e filosofia all american, voglia di successo e sociologie egemoniche, quando anche il film sembra credere alla versione autorizzat­a della storia del «genio»: è vero che l’hamburger di McDonald’s e i suoi archi dorati sono diventati uno dei simboli più popolari del mondo, ma le sue tirate patriottic­o-alimentare sanno di recita. Mentre prende vita quando abbandona l’agiografia e ci fa capire un po’ meglio cosa si nasconde dietro il luccichio del sogno americano.

Ritratto ambiguo di Kroc ma il regista non prende posizione sull’imprendito­re, uno dei pilastri del capitalism­o americano

 ??  ?? Finzione Michael Keaton, 65 anni, nei panni dell’imprendito­re Kroc nel film diretto da John Lee Hancock. Tra i protagonis­ti anche Nick Offerman e John Carroll Lynch, nella parte dei fratelli Dick e Mac McDonald, proprietar­i della catena di ristoranti...
Finzione Michael Keaton, 65 anni, nei panni dell’imprendito­re Kroc nel film diretto da John Lee Hancock. Tra i protagonis­ti anche Nick Offerman e John Carroll Lynch, nella parte dei fratelli Dick e Mac McDonald, proprietar­i della catena di ristoranti...
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