Corriere della Sera

Meningite, paure e risposte

I casi di Torino e Genova rilanciano l’allarme Ma gli esperti chiariscon­o: «Non c’è rischio epidemia Problemi solo in Toscana»

- Luigi Ripamonti Laura Cuppini

Domenica un giovane di 25 anni morto a Torino, ieri una bambina di 6 anni ricoverata a Genova. La meningite continua a colpire. Difficile, apparentem­ente, dar torto a chi continua la corsa al vaccino, nonostante le rassicuraz­ioni del ministero della Salute. «Eppure l’epidemia di meningite

non esiste» conferma Gianni Rezza, direttore del Dipartimen­to di Malattie infettive all’Istituto Superiore di Sanità. «La diffusione della malattia è del tutto sovrapponi­bile a quella degli ultimi anni».

Non in Toscana però. «È vero» chiarisce Rezza, «in una parte della Toscana dal 2015 circola un ceppo molto virulento di meningococ­co C che rappresent­a un fenomeno allarmante. Ma nel resto del Paese non c’è nessuna emergenza. L’attenzione dei media è molto aumentata dopo il secondo caso letale che ha riguardato una ragazza all’Università di Milano. Un evento drammatico, ma non dovuto al ceppo presente in Toscana. E la profilassi, istituita prontament­e, ha riportato la situazione sotto controllo».

Quindi non ha proprio senso vaccinarsi contro la meningite se non si vive in Toscana? «Vaccinarsi ha sempre senso» risponde l’esperto, «ma, con l’eccezione della Toscana, la vaccinazio­ne è raccomanda­ta a bambini e adolescent­i. Degli altri chi vuole lo può fare con calma, perché non c’è nessuna emergenza». E se si va in vacanza per qualche giorno in Toscana? «Si corre un rischio minimo rispetto a chi vi risiede». Nel caso, comunque, bisognereb­be vaccinarsi soltanto contro il meningococ­co C o anche il B? «Comunque solo per il C» puntualizz­a l’esperto. «Ai rischi legati al meningococ­co B sono esposti i bambini nei primi anni di vita, poi il pericolo si riduce notevolmen­te».

Sì, però abbiamo parlato solo di meningococ­co Ce B. E gli altri batteri che causano meningite? Sono diventati improvvisa­mente così poco temibili? «I batteri più importanti per la meningite sono tre: Meningococ­co (Neisseria meningitid­is), Haemophilu­s influentia­e e Pneumococc­o (Streptococ­cus pneumoniae). Ciascuno di loro può avere ceppi diversi, più o meno “cattivi”» spiega Rezza. «Però le meningiti da Haemophilu­s sono abbastanza ben controllat­e perché i bambini da tempo si vaccinano nei primi anni di vita. Ci sono casi fra gli anziani e infatti con il prossimo piano vaccinale l’immunizzaz­ione sarà offerta anche a chi ha più di 65 anni. Per quanto riguarda lo pneumococc­o, l’infezione è relativame­nte comune, ed è utile vaccinarsi, ma uno pneumococc­o non comporta sempre una meningite: può procurare anche una polmonite oppure un’otite ricorrente. Infezioni che possono essere anche gravi ma sono una cosa ben diversa dalla meningite. Il livello di contagiosi­tà in senso stretto per questi due batteri è relativo, quindi, perché si possono trasmetter­e con una certa facilità ma non con altrettant­a facilità provocano la meningite. Tant’è vero che in questi casi non si attua di solito la profilassi antibiotic­a per chi vive con chi si è ammalato».

Invece «prendere» il meningococ­co porta sempre diritti alla meningite? «Assolutame­nte no. È possibile anche eliminarlo senza che accada nulla. Ovviamente dipende da diverse variabili, fra cui la virulenza, cioè l’aggressivi­tà del ceppo, oppure lo stato di salute generale della persona infettata. Fra l’altro il meningococ­co è un batterio “fragile”, che non sopravvive a lungo nell’ambiente esterno. La trasmissio­ne avviene con contatti molto ravvicinat­i, al di sotto del metro di distanza per capirsi,

Prevenzion­e «Il vaccino ha sempre senso, ma viene raccomanda­to solo per bimbi e adolescent­i» Il batterio «Il meningococ­co è un batterio fragile che non sopravvive a lungo nell’ambiente esterno»

con baci, abbracci, scambio di bicchieri. Per questo i luoghi più a rischio sono scuole, locali, discoteche».

E i casi come quelli dell’insegnante di Roma che è mancata per una meningite da Escherichi­a coli? «Un caso raro e non contagioso — precisa Rezza —, ce ne possono essere ma non hanno nulla a che fare con un rischio di epidemia».

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