Quel barbone gentile che scelse la strada
In questi giorni sono morti diversi barboni, per il freddo. Vorrei dedicare loro il ricordo di una conoscenza che è rimasta incisa nella mia memoria. Abitavo sul lungotevere, ogni volta che attraversavo il giardinetto vicino casa, lo vedevo. Era un uomo anziano ma dalla schiena dritta, i capelli bianchi e folti, una faccia devastata dalle rughe ma rallegrata da un sorriso malinconico. Ogni tanto mi fermavo a parlare con lui. Rispondeva con lentezza e pensosità. A pezzi e bocconi ho saputo che da dieci anni viveva in mezzo alla strada perché aveva perso tutto: lavoro, casa, moglie e figli. Ma non era animato da quel rancore che nasce dalla frustrazione. Non aveva nemmeno creato un nido di sporcizia come spesso accade coi barboni. La panchina su cui dormiva era sempre pulita. Le sue coperte, piegate diligentemente, stavano nascoste dentro un cespuglio impenetrabile. «Là in mezzo ci stanno solo i topi», mi ha detto indicando un cespuglio di roselline selvatiche. E c’era nella sua voce una grande libertà. Una volta gli ho portato del caffè caldo. Mi ha ringraziato, ne ha bevuto un poco restituendomi subito il termos ancora quasi pieno. «È suo», ho detto. «Non ne ho bisogno», ha ripetuto sorridendo. Quando sono venuti i primi freddi gli ho portato una coperta. Questa volta ha accettato. I suoi piedi erano nudi dentro le scarpe piene di buchi. «Posso regalarle un paio di scarpe»? ho chiesto. Ha scosso la testa deciso. Mi chiedevo cosa facesse prima di decidere di vivere per strada, non osavo chiederlo. Dalle mani bianche e delicate sembrava un professionista. Eppure aveva braccia muscolose e gambe da camminatore. Una freddissima mattina di febbraio, sono andata al giardino portando con me un cappuccio di lana e dei calzettoni. Ma lui non c’era. Ho pensato che si fosse allontanato per le sue passeggiate che lo portavano fino al Colosseo. Mi chiedevo come facesse a sopravvivere. Poi una volta l’ho visto che timidamente, ma con dignità, chiedeva l’elemosina. Solo mesi dopo ho saputo che l’avevano trovato morto sulla sua panchina. Quell’uomo misterioso e gentile mi ha insegnato che si può vivere di niente, senza inasprirsi. «Purché sia una scelta», mi ha detto una volta, «non auguro a nessuno di vivere solo per la strada, ma se scelgo io è diverso».