Corriere della Sera

Coming out di gruppo per i calciatori gay

L’idea di Clarke, n. 1 della Federazion­e inglese. Tommasi: «Società più aperta ma non facciamone un evento»

- Gaia Piccardi Marco Bonarrigo Paolo Tomaselli

«Ragazzo dove vai se vuoi una pagnotta?». «Dal fornaio, coach». «E dove vai se vuoi un cosciotto d’agnello?».

«Dal macellaio, immagino...».

«Allora perché continui ad andare in quei fottuti locali per froci?».

Il dialogo tra Brian Clough, il duro in panchina per eccellenza, e Justin Fashanu, il primo calciatore nero britannico con un cartellino del valore di un milione di sterline (Nottingham Forest, 1981) — come riportato nella biografia («Nobody ever says thank you») del più scostante, intrattabi­le, permaloso e arrogante football genius d’Inghilterr­a — rimorde ancora la coscienza del calcio britannico. Il pallone non è un paese per gay a nessuna latitudine e sappiamo bene come finì la triste storia di Fashanu: il coming out alla fine del ‘90, la gogna pubblica, l’onta del ripudio da parte del fratello John, la fuga negli Usa, l’accusa di stupro di un adolescent­e, il suicidio. 2 maggio 1998, in un garage di Shoreditch, Londra. È in questo contesto che va collocata, quasi vent’anni dopo, la proposta di Greg Clarke, presidente della Federcalci­o inglese (Fa), 60enne di Leicester, conservato­re pentito che l’anno scorso aveva vivamente sconsiglia­to qualsiasi calciatore omosessual­e di venire allo scoperto, pena «pesanti offese». La notizia è che Clarke, alle prese con il pesantissi­mo scandalo della pedofilia (dallo scorso novembre quasi quotidiana­mente i «Se certi giocatori vogliono dichiarars­i, perché non insieme a inizio campionato?»

tabloid inglesi aggiornano il conto dei club coinvolti nella vicenda degli abusi sessuali commessi su giovani giocatori degli anni 70 e 80), ha cambiato idea: «La mia proposta è questa: se un certo numero di calciatori di alto livello vogliono dichiarars­i gay, perché non farlo insieme? Una persona non dovrebbe affrontare tutta la pressione da solo ma la condivider­ebbe con altri».

L’iniziativa, spiega Clarke al Times, potrebbe contare sull’appoggio non solo della Fa ma anche della Premier League e della Football League. «A inizio stagione tutti i tifosi sono convinti che sarà la loro annata e pensano positivo: sosterrebb­ero i giocatori gay nei loro club, ma sono preoccupat­o di cosa urlerebber­o contro i gay delle altre squadre». E poi la perla finale: «Ho incontrato 15 sportivi omosessual­i nelle ultime quattro settimane, tra questi c’erano anche calciatori. E ho chiesto la loro opinione. È difficile trovare una soluzione comune perché molti calciatori gay sono felici come sono, e non si preoccupan­o di come possano stare altri colleghi. Non voglio costringer­e nessuno a uscire allo scoperto, deve essere una scelta personale». Scelta che, finora, nel calcio di alto livello pochissimi hanno fatto. Thomas Hitzlsperg­er, ex Bayern, Aston Villa e Lazio: «In Inghilterr­a, Germania o Italia la questione dell’omosessual­ità non è presa sul serio, soprattutt­o negli Totem Justin Fashanu, attaccante inglese, il primo calciatore a fare coming out, morto suicida a 37 anni (Ap) spogliatoi, e non è una bella cosa. Io non mi sono mai vergognato di essere quello che sono, ma non è stato facile sedersi a un tavolo con venti giovani uomini e ascoltare barzellett­e sui gay: essere omosessual­e è un argomento tabù nel calcio». Anton Hysen, figlio d’arte svedese (il padre Glenn è stato difensore di Fiorentina e seball, che ormai da un paio di anni farebbero largo uso di queste cuffie. Il cui effetto, secondo alcuni esperti che hanno analizzato il fenomeno, è «leggero ma promettent­e».

«Stiamo parlando di una debole corrente elettrica, che tra l’altro costa pochissimo — osserva Samuele Marcora, neuroscien­ziato cognitivo e direttore della ricerca alla School of Sport and Exercise Science della Kent University in Inghilterr­a —. La corrente passa per due elettrodi e diminuisce l’eccitabili­tà dei neuroni, in particolar­e della corteccia motoria primaria. Abbiamo testato la stimolazio­ne: non aumenta la forza del muscolo, ma pare avere un effetto sulla prestazion­e di endurance, perché riduce la percezione della fatica e aumenta la resistenza. Con una stimolazio­ne di 15’ l’effetto dura un’ora e mezza al massimo. Il migliorame­nto è del 15%, ma — attenzione — questo non significa migliorare il tempo in una maratona del 15%, ma del 1-2%. In teoria con queste apparecchi­atura si potrebbe creare una sorta di elmetto da usare in corsa».

In un articolo pubblicato dal Journal of cognitive enhancemen­t, il neuropsico­logo Michael Liverpool) e figlio di un Paese ateo e liberale, la Svezia, il primo calciatore a fare coming out in Europa che al Corriere nel 2011 confessò: «In una nazione cattolica come l’Italia, non l’avrei detto...». Yoann Lemaire, difensore del Fc Chooz (Ardenne), il primo francese: contratto risolto. Robbie Rogers, negli Usa, presenze in nazionale e nei LA Galaxy resuscitat­i da Beckham.

In Italia, nonostante l’appello dell’ex c.t. Cesare Prandelli («L’omofobia è razzismo: calciatori, fate coming out...») nessuno. «Mi piace pensare che nel 2017 ciascuno si senta liberament­e se stesso nell’ambiente in cui lavora — spiega Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalcia­tori —. Credo che siamo a buon punto. I tempi sono cambiati, la società pure». Se lo immagina, Tommasi, un coming out di massa in serie A? «Con quale obiettivo? Dove si vuole arrivare? Farne un evento, proprio no. E sinceramen­te credo non sia lo scopo nemmeno degli inglesi». Nitsche sottolinea che «l’utilizzo di certe tecniche solleva preoccupaz­ioni etiche a proposito del doping cerebrale». Detto che il prezzo delle cuffie è sproposita­to rispetto al reale costo della tecnologia, si potrebbe creare anche un ricorso al fai da te — potenzialm­ente pericoloso — per creare apparecchi a prezzi più bassi. La Wada è attenta alla questione, ma è in imbarazzo: al di là di un eventuale divieto di utilizzare le cuffie o apparecchi equivalent­i, come si fa scoprirne o meno l’utilizzo e l’incidenza sulla prestazion­e?

«Il criterio Wada sul doping prevede che si verifichin­o tre situazioni simultanea­mente — spiega Marcora —. Il primo: che la pratica abbia effetto positivo sulla performanc­e. E questo è palese, anche se il migliorame­nto è piccolo. L’1-2% sui 10mila metri sono comunque 15/25 secondi. Il secondo: l’effetto nocivo previsto dalla Wada con i dosaggi usati è nullo, tanto è vero che il caschetto Halo è in commercio e le commission­i etiche universita­rie approvano gli esperiment­i. Il danno sulla salute non c’è».

Sul terzo criterio, se cioè l’utilizzo di uno strumento del genere contravven­ga o meno lo spirito dello sport, il dibattito è solo all’inizio: «Per me — sottolinea Marcora — la caffeina ha un effetto molto più potente ed è di uso libero dal 2004. Il problema è che per l’opinione pubblica il caffè è innocuo mentre l’idea degli elettrodi al cervello, magari durante il riscaldame­nto, disturba e crea quasi un effetto Frankenste­in, anche riprovevol­e». Ma questo difficilme­nte fermerà i forzati delle cuffie.

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