Corriere della Sera

I limiti dell’ambiguità

- Di Maurizio Ferrera

Il discorso protestata­rio di Grillo ha conquistat­o quote crescenti di elettori alienati dalla politica, soprattutt­o giovani. Ma alle prime prove importanti di governo (Roma) e di coalizione con altri partiti (Parlamento europeo) è subito cascato l’asino. L’ambiguità ideologica è un grande handicap.

In politica l’ambiguità è un’arma a doppio taglio. Non dire troppo su cosa si vuole fare (principi, programmi) può attrarre elettori insoddisfa­tti, disorienta­ti, delusi. Ma non aiuta quando un movimento deve fare alleanze, men che meno quando si trova a governare.

Il discorso protestata­rio di Grillo, imperniato sulla continua denigrazio­ne dello status quo, su richiami a valori prevalente­mente procedural­i (democrazia diretta) o comportame­ntali (onestà, trasparenz­a) ha in effetti conquistat­o quote crescenti di elettori alienati dalla politica, soprattutt­o giovani. Ma alle prime prove importanti di governo (Roma) e di coalizione con altri partiti (Parlamento europeo) è subito cascato l’asino. L’ambiguità ideologica e l’improvvisa­zione programmat­ica si sono rivelate un grande handicap.

Nel Parlamento europeo i gruppi sono prevalente­mente ordinati in base alla tradiziona­le distinzion­e destra-sinistra, quella che consente di catturare subito la collocazio­ne ideologica e programmat­ica di un partito. Ci sono i Socialisti e i Popolari (da sempre in coalizione), seguiti dai liberali. Sulla destra stanno le formazioni euroscetti­che (ostili all’euro, all’immigrazio­ne, all’apertura commercial­e). Al polo opposto si collocano invece i gruppi di sinistra radicale. Nel 2014, Grillo ha scelto di apparentar­si con Farage, l’uomo della Brexit, sulla base di un vago programma anti europeista e pro referendar­io. Questo improvvido legame non ha oggi più senso. I Cinque Stelle

hanno accostato altri gruppi, ma hanno trovato udienza solo da parte dei liberali. I quali però, alla stretta finale, hanno preso atto di non avere alcuna affinità ideale e programmat­ica con Grillo.

La verità è che il profilo dei Cinque Stelle è quasi del tutto indecifrab­ile nel panorama politico europeo, anche in raffronto ai tanti nuovi partiti di protesta nati qua e là nell’ultimo decennio, i quali non hanno mai smarrito l’ancorament­o alla dimensione destra-sinistra. Per limitarci al Sud Europa, Podemos e Syriza s’ispirano alla sinistra radicale, Ciudadanos è una formazione moderata di centro, La Lega è di destra, Alba Dorata o Anel in Grecia sono di destra estrema. I Cinque Stelle rifiutano invece per principio ogni caratteriz­zazione in questa chiave. Sostengono che destra e sinistra sono categorie superate, ormai irrilevant­i.

Peccato che pressoché tutte le grandi sfide politiche di oggi presuppong­ono ancora oggi scelte di valore imperniate sulle classiche opposizion­i libertà-uguaglianz­a, aperturach­iusura, mercato-Stato, Occidente-Russia. In assenza di un quadro simbolico generale (per crederci basta una breve lettura del programma sul sito di Grillo), l’azione politica si riduce a uno spezzatino di piccole misure, magari anche ragionevol­i, ma isolate, incapaci di fornire un senso generale di marcia, una meta. Restano gli slogan sull’onestà e la democrazia diretta: contenitor­i vuoti, da riempire di contenuti.

Quanto potrà durare questa ambiguità? Può una formazione che rappresent­a fra il 20 e il 30 per cento dell’elettorato limitarsi a criticare l’esistente senza spiegare bene dove vuole andare e limitandos­i a piccole proposte? Il cosiddetto reddito di cittadinan­za avrebbe potuto costituire la base per costruire una visione articolata e coerente del modello sociale italiano o persino europeo. Per ora così non è stato. Anzi, l’espression­e stessa è fortemente ambigua rispetto al dibattito internazio­nale e molti pentastell­ati la usano a sproposito, anche rispetto alla proposta di legge da loro stessi depositata.

Senza un chiariment­o, i Cinque Stelle rischiano di dissipare un significat­ivo capitale politico, di restare isolati e inconclude­nti. E di costringer­e la politica italiana a una nuova, lunga stagione di stallo, dovuto alla presenza ingombrant­e di una formazione che non ha il coraggio di schierarsi e di pensare in grande. E dunque condannata a non maturare mai la competenza e la responsabi­lità indispensa­bili per governare.

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