Riconoscimenti
granducali, austriacanti, papalini che avevano sempre combattuto e bestemmiato l’idea e gli eroi del Risorgimento. È necessario che il Fascismo prosegua senza esitazioni il suo fatale cammino rivoluzionario».
Nove anni dopo (1932) Berto Ricci, in occasione dei cinquant’anni dalla morte di Giuseppe Garibaldi e dei dieci dalla marcia su Roma, insisterà con queste parole: «I rimasuglioli d’un’Italia nata in falde e cilindro alla quale tutti i distintivi del mondo non daranno mai un’anima nuova e tanto meno un’anima fascista, farebbero bene a non commemorare Garibaldi. C’è un’incompatibilità essenziale tra il liberalismo sia di destra che di sinistra (alle storiche benemerenze della storicissima Destra noi crediamo poco) e il Dittatore; tra i moderati e il Dittatore; tra la borghesia laica e codina e il Dittatore. Oggi come cinquanta, come cento anni fa Egli appartiene al popolo e ai giovani». È a questa tipologia di ragazzi che in seguito, nella seconda metà degli anni Trenta, si rivolgeranno i comunisti definendoli «fratelli in camicia nera».
Verrà poi il momento della guerra civile. Tra l’autunno del 1943 e il 25 aprile 1945, scrive Buchignani, «sovversivi neri di Salò e sovversivi della Resistenza si contendono con le armi in In camicia nera Personaggi come Berto Ricci e Curzio Malaparte auspicavano a gran voce che il fascismo rifiutasse ogni compromesso con il mondo borghese
Nel dopoguerra Dopo aver estromesso i comunisti e i socialisti dal governo, De Gasperi venne accusato di aver affossato l’eredità della lotta partigiana