Corriere della Sera

E Renzi respira: i nemici a sinistra non hanno vinto

- Di Antonio Polito

C’è una indiscutib­ile logica nella sentenza con cui la Corte costituzio­nale ha negato l’ammissibil­ità del referendum sull’articolo 18. Per come era scritto il quesito, la sua approvazio­ne avrebbe introdotto una nuova norma, mai votata da nessun Parlamento.

SEGUE DALLA PRIMA

La nostra Costituzio­ne invece consente solo di abrogare una legge per via referendar­ia, non di riscriverl­a con il taglia e cuci. Ed è difficile da comprender­e perché la Cgil, che certo non difetta di giuslavori­sti, abbia mobilitato più di tre milioni di firmatari su un quesito del quale conosceva i rischi di bocciatura. Dal punto di vista politico, dietrologi­e a parte, la sentenza di ieri consente a Renzi di tirare un respiro di sollievo. Perché salva il Jobs act, fiore all’occhiello del suo riformismo, dal concretiss­imo rischio di una sonora bocciatura popolare che avrebbe davvero messo fine alla stagione del renzismo, già scossa da due insuccessi elettorali e da una disfatta referendar­ia sulla Costituzio­ne. Altrettant­o chiarament­e, la sentenza segna una sconfitta di tutta quella parte della sinistra che non ha mai accettato la svolta introdotta da Renzi nel mercato del lavoro, forse la riforma più importante che abbia fatto. L’abrogazion­e dell’articolo 18 non ha certo creato posti di lavoro, non fosse altro perché il lavoro non si crea per legge. Ma ha certamente reso più facile assumere per le aziende. Le quali, per il periodo in cui ne hanno avuto la convenienz­a con gli sconti contributi­vi, l’hanno fatto. Si deve ora sperare che, se e quando la ripresa economica si irrobustir­à, lo facciano in misura tale da cambiare davvero le cose. È infatti proprio la cronica mancanza di lavoro, soprattutt­o per i più giovani, il male oscuro della società italiana, ciò che provoca tanto malcontent­o e ansia, perfino indignazio­ne morale e senso di rivolta. Certo, la Cgil può ancora sperare nei due quesiti sopravviss­uti alla mannaia della Corte (perché correttame­nte scritti). Ma quello sugli appalti è di scarso rilievo politico, e quello contro i voucher, per quanto molto popolare, abroghereb­be uno strumento la cui paternità non appartiene al governo Renzi, e che proviene dai tempi di Berlusconi e di Monti. Il Pd, insomma, non si straccerà le vesti nella campagna referendar­ia per difendere la norma, ma anzi il governo Gentiloni proverà ad addolcirla, almeno per evitare gli abusi più gravi di uno strumento nato per combattere il lavoro nero. Resta da stabilire se la sentenza di ieri allunga o abbrevia la strada che porta alle elezioni. Molto probabilme­nte né l’una né l’altra cosa. Sarà un’altra causa, quella che la Consulta comincia a discutere il 24 gennaio sull’Italicum, a decidere della sorte della legislatur­a. E meriterebb­e una seria riflession­e il fatto che, nel giro di poche settimane, per ben due volte la lotta politica sia dovuta passare attraverso la Corte per districare nodi che il Parlamento ha aggrovigli­ato.

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