Corriere della Sera

Passa la linea Amato: 8 a 5 E il giudice in minoranza non scriverà le motivazion­i

- di Giovanni Bianconi

Ha vinto la linea che può definirsi più ortodossa perché respinge l’idea di un referendum «creativo», non solo abrogativo come previsto dalla Costituzio­ne ma propositiv­o di fatto; ha perso quella più flessibile che avrebbe aperto la strada a un quesito «manipolati­vo» della legge ma comunque ammissibil­e, secondo lo spirito della Carta e in base a precedenti pronunce della stessa Consulta. Con una maggioranz­a di otto voti contro cinque, la Corte costituzio­nale ha detto no alla consultazi­one popolare sul Jobs act e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Decisione tecnico-giuridica ma dagli evidenti risvolti politici, che ovviamente non sono stati nemmeno sfiorati nelle oltre due ore di discussion­e fra i giudici costituzio­nali riuniti in camera di consiglio. Che poi nella testa di qualcuno ci fossero anche le conseguenz­e che la sentenza avrebbe avuto sul destino della legislatur­a, o i desideri di qualche leader di partito, è tutt’altro discorso. E fino alla discussion­e di ieri c’è stata grande incertezza sia per la delicatezz­a dell’argomento da affrontare (la richiesta di dare la parola al popolo su un tema come il lavoro, primo valore garantito dalla Costituzio­ne), sia per le attese più o meno interessat­e negli altri palazzi delle istituzion­i. Confermate dalle reazioni giunte subito dopo la comunicazi­one dell’esito del verdetto.

I due schieramen­ti si sono confrontat­i e divisi sulle norme e sul significat­o della sentenza numero 41 del 2003, che aveva ammesso una proposta di referendum sulla stessa materia. Potevano sovrappors­i le due situazioni, oppure no? Sì secondo la relatrice Silvana Sciarra e altri quattro colleghi; no secondo Giuliano Amato e un blocco di maggioranz­a che alcuni definiscon­o «ampia» e altri «stretta». Questione di punti di vista, considerat­i i numeri ridotti. A causa dell’assenza per motivi di salute dell’ex presidente Alessandro Criscuolo, i giudici si sono ritrovati a decidere in 13, dunque sono bastati due soli voti a far pendere la bilancia da un lato. Quello secondo il quale il precedente del 2003 non si poteva applicare perché la situazione era diversa.

Quel referendum (che non raggiunse il quorum necessario per essere valido) avrebbe infatti abolito il limite minimo di 15 dipendenti in azienda (ridotto a 5 per le imprese agricole) fissato dalla legge per avere il diritto al reintegro in caso di licenziame­nto illegittim­o, estendendo­lo a tutti. Quesito legittimo, disse allora la Corte. Oggi invece, il ritaglio di alcune parole del testo normativo

avrebbe abbassato quella soglia da 15 a 5 e questo, secondo la maggioranz­a dei giudici, non si può fare: sarebbe una modifica della legge, competenza esclusiva del Parlamento. I fautori dell’ammissibil­ità hanno sostenuto che non si trattava di riscrivere la regola, bensì di estendere il limite previsto per le aziende agricole a tutte le altre categorie; nessuna «manipolazi­one» del testo, dunque, ma un ampliament­o dei soggetti beneficiar­i di una disciplina già esistente, attraverso la lecita cancellazi­one di alcune parti della legge. Con un effetto addirittur­a minore rispetto alla consultazi­one autorizzat­a nel 2003.

Questa interpreta­zione, però, è rimasta minoritari­a. Anche dopo che il dibattito tra i giudici s’è allargato all’opportunit­à di non essere troppo rigorosi quando, di fronte a due posizioni divergenti ma entrambe sostenibil­i, c’è in ballo una consultazi­one popolare. In fondo l’articolo 1 della Costituzio­ne stabilisce che «la sovranità appartiene al popolo». Ma poi c’è l’altra parte dello stesso comma, secondo cui quella sovranità si «esercita nelle forme e nei limiti» imposti dalla stessa Costituzio­ne. Che autorizza il referendum «per deliberare l’abrogazion­e totale o parziale di una legge», non per riformarla attraverso un sapiente ritaglio di parole. Così si è tornati al nocciolo della questione: quesito meramente abrogativo o surrettizi­amente propositiv­o? Ha vinto la seconda risposta. Spiegazion­i più esaustive arriverann­o con la motivazion­i della sentenza, che con ogni probabilit­à non sarà scritta dalla relatrice Silvana Sciarra, favorevole all’altra soluzione, ma da un altro giudice che ha votato per l’inammissib­ilità.

 ??  ?? Silvana Sciarra Professore­ssa di diritto del lavoro, eletta dalle Camere, indicata dal Pd Daria De Petris Professore­ssa di diritto amministra­tivo, scelta da Napolitano nel 2014 Nicolò Zanon Professore di diritto costituzio­nale, nominato da Napolitano...
Silvana Sciarra Professore­ssa di diritto del lavoro, eletta dalle Camere, indicata dal Pd Daria De Petris Professore­ssa di diritto amministra­tivo, scelta da Napolitano nel 2014 Nicolò Zanon Professore di diritto costituzio­nale, nominato da Napolitano...
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