Xi debutta a Davos: «No al protezionismo»
Una potenza globale responsabile che sostiene il multipolarismo: è questa la Cina che Xi Jinping vuole presentare al gotha del mondo economico che si riunisce dal 17 al 20 gennaio tra le montagne di Davos in Svizzera. Xi sarà il primo capo di Stato della Repubblica cinese, comunista ma dedita al capitalismo, a partecipare al World Economic Forum e il ministero degli Esteri di Pechino ha anticipato che i temi del suo discorso toccheranno la cooperazione e il libero commercio, temi cari ai sistemi occidentali, rimessi drammaticamente in discussione da Donald Trump. Xi debutterà a Davos il 17 e cercherà di conquistare i cuori dei potenti della finanza usando lo slogan della «globalizzazione inclusiva» che ha lanciato al G 20 ospitato a Hangzhou a settembre. Allora l’avvento di Trump alla Casa Bianca sembrava un’ipotesi impossibile; ora invece Xi potrà aggiungere, dicono a Pechino, la considerazione che un approccio populista e protezionista rischia di portare alla «guerra e alla povertà». Il nuovo leader degli Stati Uniti ha vinto le elezioni promettendo agli americani di uccidere nella culla la Trans-Pacific Partnership (Tpp) che era stata al centro della politica asiatica di Obama; minacciando di imporre dazi fino al 45% sui prodotti esportati da Pechino; dichiarando di voler costruire un muro al confine con il Messico. E così ha avuto gioco facile ieri il viceministro degli Esteri cinese Li Baodong nel dire che Xi a Davos metterà sul tavolo «il contributo di saggezza della Cina». Pechino, sfruttando la globalizzazione, invadendo i mercati con i suoi prodotti, è diventata in trent’anni la seconda potenza economica del mondo e ora sta cercando nuovo spazio nella governance internazionale: così si dice pronta a costruire una «comunità di destino condiviso» per contrastare il populismo. La Cina «potenza responsabile» in opposizione agli Stati Uniti «imprevedibili»? Sarebbe suonato come uno scherzo ancora pochi mesi fa, ma la svolta di Washington potrebbe rimescolare le carte della geopolitica, anche se buona parte delle affermazioni di Trump vengono ancora interpretate come tattiche da campagna elettorale e strategie negoziali. Di sicuro Xi Jinping è intenzionato a sfruttare il megafono di Davos per proporre la sua idea di Nuova Via della seta, una rete di infrastrutture che partendo dalla Cina dovrebbe attraversare l’Asia, toccare l’Africa e arrivare in Europa. E illustrerà il potenziale benefico della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), la banca pensata per finanziare i progetti della Nuova Via della seta alla quale hanno aderito 57 Paesi, tra i quali l’Italia ma non gli Stati Uniti. Il presidente puntava sulla Trans-Pacific Partnership che escludeva la Cina; Trump ha silurato quel progetto e a questo punto Washington sembra non avere una strategia commerciale chiara in Asia. A Davos saranno presenti consiglieri di Trump e i cinesi si dicono disposti a incontrarli, anche per discutere di un ingresso Usa nella Banca per le infrastrutture asiatiche. Si può credere alla saggezza di Xi Jinping alfiere della «riglobalizzazione»? Prima degli immancabili applausi del Forum in Svizzera è il caso di guardare per esempio ai 41 casi di indagini per protezionismo e pratiche commerciali sleali lanciate da 16 Paesi nel 2016 nei confronti di Pechino nel solo settore dell’acciaio. E poi proprio ieri, nello Stretto di Taiwan, i cinesi hanno fatto sfilare la loro portaerei Liaoning, in un’esibizione di potenza militare intesa a intimidire la «provincia ribelle», l’unica parte di Cina dove la gente vota democraticamente.