Noi siamo gli schiavi, i braccianti, i cowboy Questa è l’America
Cosa potrebbe esserci di più americano di quello che accadde in questo luogo? Cosa potrebbe rivendicare più profondamente il concetto di America di un gruppo di persone semplici e umili — sconosciuti, oppressi, sognatori non di alto rango, non di una sola religione, ma di tante — che si raccolgono per plasmare il corso del proprio paese? Quale più grande forma di patriottismo della convinzione che l’America non è ancora finita, che siamo abbastanza forti da essere autocritici, che ogni successiva generazione può guardare alle nostre imperfezioni e stabilire che è in nostro potere ricostruire questo paese affinché si allinei maggiormente ai nostri più alti ideali? Selma non è un’eccezione nell’esperienza americana. Non è un museo o un monumento statico. È l’espressione di un credo scritto nei nostri documenti costitutivi: «Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ancor più la nostra Unione. Noi consideriamo verità evidenti per sé stesse che tutti gli uomini sono creati uguali». Non sono solo parole. Sono un invito all’azione, una road map per la cittadinanza, un’insistenza nella capacità degli uomini e delle donne libere di plasmare il proprio destino. L’istinto americano che spinse quei giovani uomini e donne ad assumersi le proprie responsabilità e attraversare questo ponte è lo stesso che portò i patrioti a ribellarsi contro la tirannia. È lo stesso istinto che attira immigrati dall’altra parte degli oceani e del Rio Grande; che condusse le donne a conquistare il diritto di voto e i lavoratori a organizzarsi contro uno status quo ingiusto; che ci portò a piantare una bandiera a Iwo Jima e sulla Luna. È l’idea condivisa da generazioni di cittadini che credono che l’America 50 anni dopo Obama in Alabama con la sua famiglia e gli eroi di Selma il 7 marzo 2015, anniversario della «domenica di sangue» (Ap) sia un’entità in continua evoluzione, che credono che amarla non significhi solo tesserne le lodi o evitare scomode verità, ma provocare ogni tanto uno scossone, essere pronti a parlare in favore di ciò che è giusto. Questa è l’America. È questo che ci rende unici. Noi siamo gli schiavi che costruirono la Casa Bianca e l’economia del Sud. Noi siamo i braccianti e i cowboy che conquistarono l’Ovest, e la moltitudine di operai che realizzarono le ferrovie, innalzarono grattacieli e si riunirono in sindacati per tutelare i propri diritti.
Selma ci dimostra che l’America non è il progetto di una sola persona. Perché la parola più potente della nostra democrazia è «We», «Noi». «We, the people», «We shall overcome», «Yes, we can». Mezzo secolo dopo quella domenica di sangue, la nostra marcia non è ancora terminata, ma lo sarà presto. Duecentotrentanove anni dopo la fondazione di questo paese, la nostra Unione non è ancora perfetta, ma lo sarà presto. Onoriamo coloro che hanno camminato affinché noi potessimo correre. E noi dobbiamo correre cosicché i nostri figli possano spiccare il volo.