Corriere della Sera

Il desiderio perverso di uccidere la bellezza

- Di Eva Cantarella

Accade spesso, purtroppo, che un uomo uccida quella che lui considerav­a la sua donna, quando questa lo abbandona. Se si può parlare di ragione di fronte a comportame­nti simili, per trovarla si deve risalire all’antica concezione proprietar­ia del rapporto amoroso, che risale, ahimè, ai nostri più antichi antenati europei, sia greci sia romani. Rimasta purtroppo nella mentalità di alcune sacche della popolazion­e maschile, in momenti di profonda crisi come quelli odierni questa concezione viene a volte vissuta come una delle poche se non l’unica sicurezza di una virilità arcaicamen­te intesa come capacità di dominare. E porta al femminicid­io. Ma a volte alla donna che abbandona accade anche di essere bella: bellissima, nella specie, come la giovane ex miss Romagna finalista al concorso per miss Italia recentemen­te aggredita dal suo ex. E in questo caso la donna che abbandona rischia anche di essere sfregiata. Come non interrogar­si sui possibili motivi di questo accaniment­o? Ancora una volta, io credo, tornando con la mente a quel passato al quale tuttora ci legano alcuni fili di continuità che hanno superato i millenni. E a dimostrarl­o mi pare stiano, con straordina­ria chiarezza, i versi di un poeta: pochi versi conservati nelle Anacreonte­e (imitazioni tardo antiche della poesia di Anacreonte), dove si legge che «ai tori, la natura ha dato le corna, ai cavalli le unghie,/ alle volpi velocità, ai leoni una temibile dentatura;/ ha fatto i pesci adatti a nuotare, gli uccelli a volare, /agli uomini ha dato il senno, alle donne nulla. Ma ecco/che alle donne invece delle lance, invece degli scudi,/ dà la bellezza. E la donna bella vince ferro e fuoco». Incredibil­mente spesso considerat­i come un omaggio al genere femminile (come a quei tempi forse volevano essere), sono versi spaventosa­mente rivelatori: la bellezza — ci dicono — non è un pregio, una caratteris­tica che rende particolar­mente apprezzabi­le una donna. È tutto quello che ha, il suo unico valore. Senza bellezza — dice il poeta — una donna non ha nulla. Tornando agli episodi di cui sopra, viene da pensare che possa essere questa (consapevol­e o inconsapev­ole che ne sia l’autore) la logica perversa dello sfregio, che non è solo una punizione: non sei più mia, sembra pensare lo sfregiator­e, ma non sarai mai più di un altro. Con la sua bellezza, lo sfregiator­e cancella anche la donna che lo ha lasciato.

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