In un anno sono passate da 500 a quasi 5 mila Così milioni di cuori solitari si contattano al cellulare «Ma alla fine funziona di più la prova del caffè»
Parola d’ordine: selezione. Non soltanto dei profili. Ma anche delle stesse app da utilizzare per incontrare quei volti formato pixel. Passata la curiosità, provate le diverse funzioni, ora il single del Terzo Millennio non ha voglia di perdere troppo tempo a scorrere le schermate, a scambiarsi due chiacchiere, a fissare un appuntamento, ad andare oltre. Un po’ perché non se lo può permettere. Un po’ perché vuole ottimizzare quel (poco) tempo che gli resta libero, al netto delle incombenze quotidiane.
A certificarlo non sono soltanto le vetrine dei principali negozi online, ma anche un recente dossier di IbisWorld che sostiene come nel mondo, di «programmi» per conoscersi (o per «rimorchiare», a voler utilizzare un termine meno romantico) ce ne sono almeno quattromilacinquecento. Un anno prima erano poco più di cinquecento.
Il meccanismo è abbastanza semplice. Si scarica e installa l’applicazione, che è quasi sempre gratuita nelle sue funzioni base. Il Gps del telefonino fa il resto: geolocalizza il dispositivo — e quindi il potenziale partner — in uno specifico punto del mondo e «mostra» tutti gli iscritti nei dintorni. Tinder, Pof e Happn (soprattutto per gli eterosessuali), Grindr, Hornet e Scruff (per i gay) in questi anni hanno trainato il settore, per dirla con gli esperti. Solo «Pof» conta oltre 66 milioni di iscritti e circa un milione di incontri che si concretizzano ogni anno.
Secondo le stime di Match Group — proprietaria di Pof e di Tinder (40 milioni di profili) — nel 2011 c’erano 360 milioni di single nel mondo. Nel 2016 di cuori solitari se ne contavano 511 milioni. Tra due anni dovrebbero salire a 672. Un mercato, miliardario, così ricco che tutti vogliono la loro fetta.
E allora ecco arrivare applicazioni super «targetizzate», create su misura per le caratteristiche degli svariati fruitori. A dimostrazione del fatto che ci fosse bisogno di ambienti digitali filtrati già per categorie. «Confessionale», per esempio: per gli ebrei esistono JDate o JSwipe, per i cristiani ChristianMingle, per i musulmani Salaam-Swipe o muzmatch. «Demografica», ancora: come SilverSingles, che mira a metter insieme — almeno pubblicamente, perché poi ogni coppia che si forma toglie due utenti alla società — le persone dai cinquant’anni in su. «Nazionale»: Atraf, un altro esempio, è una app per gli omosessuali d’Israele. E non funziona al di fuori dei confini del Paese.
Altra categoria è quella dei single con hobby specifici, che potremmo chiamare «Ago nel pagliaio»: perché chi scarica MouseMingle non vuole soltanto trovare l’amore (e qui siamo sempre nella versione sdolcinata della vicenda), ma vuole anche che la futura dolce metà abbia una passione specifica per i personaggi Disney.
Con tutta questa attività virtuale, alla fine resta spazio per l’incontro dal vivo? «Sì, perché per me resta comunque cruciale il primo vero appuntamento con la ragazza», dice Niccolò N. («niente cognome, per carità!»), ventinovenne toscano che da un po’ di mesi usa Tinder. «Dipende però dal perché uno usa le app», rispondono Simone B., venticinque anni, e Andrea C., ventotto, gay e utilizzatori di Grindr e Hornet: «Se uno è alla ricerca dell’anima gemella gli incontri dal vivo sono fondamentali, però non hanno senso se uno sta solo cercando l’avventura di una notte e basta».
D’accordo anche Elisa D., 32 anni: «Sia io sia mia sorella usiamo Tinder. Ci si scrive un sacco con i profili, ma prima di incontrare ci penso due, dieci, cento volte», racconta. Non si fida? «Macché. È che ogni volta che ci vediamo per un caffè si rivelano di una noia mortale». Per orientamento sessuale Le app iniziano a essere usate per incontri sulla base dell’orientamento sessuale (sopra il logo di Tinder) Per religione Poi sono arrivate quelle che tengono conto delle fedi degli utenti (sopra l’app per i single ebrei)