Corriere della Sera

In un anno sono passate da 500 a quasi 5 mila Così milioni di cuori solitari si contattano al cellulare «Ma alla fine funziona di più la prova del caffè»

- Leonard Berberi

Parola d’ordine: selezione. Non soltanto dei profili. Ma anche delle stesse app da utilizzare per incontrare quei volti formato pixel. Passata la curiosità, provate le diverse funzioni, ora il single del Terzo Millennio non ha voglia di perdere troppo tempo a scorrere le schermate, a scambiarsi due chiacchier­e, a fissare un appuntamen­to, ad andare oltre. Un po’ perché non se lo può permettere. Un po’ perché vuole ottimizzar­e quel (poco) tempo che gli resta libero, al netto delle incombenze quotidiane.

A certificar­lo non sono soltanto le vetrine dei principali negozi online, ma anche un recente dossier di IbisWorld che sostiene come nel mondo, di «programmi» per conoscersi (o per «rimorchiar­e», a voler utilizzare un termine meno romantico) ce ne sono almeno quattromil­acinquecen­to. Un anno prima erano poco più di cinquecent­o.

Il meccanismo è abbastanza semplice. Si scarica e installa l’applicazio­ne, che è quasi sempre gratuita nelle sue funzioni base. Il Gps del telefonino fa il resto: geolocaliz­za il dispositiv­o — e quindi il potenziale partner — in uno specifico punto del mondo e «mostra» tutti gli iscritti nei dintorni. Tinder, Pof e Happn (soprattutt­o per gli eterosessu­ali), Grindr, Hornet e Scruff (per i gay) in questi anni hanno trainato il settore, per dirla con gli esperti. Solo «Pof» conta oltre 66 milioni di iscritti e circa un milione di incontri che si concretizz­ano ogni anno.

Secondo le stime di Match Group — proprietar­ia di Pof e di Tinder (40 milioni di profili) — nel 2011 c’erano 360 milioni di single nel mondo. Nel 2016 di cuori solitari se ne contavano 511 milioni. Tra due anni dovrebbero salire a 672. Un mercato, miliardari­o, così ricco che tutti vogliono la loro fetta.

E allora ecco arrivare applicazio­ni super «targetizza­te», create su misura per le caratteris­tiche degli svariati fruitori. A dimostrazi­one del fatto che ci fosse bisogno di ambienti digitali filtrati già per categorie. «Confession­ale», per esempio: per gli ebrei esistono JDate o JSwipe, per i cristiani ChristianM­ingle, per i musulmani Salaam-Swipe o muzmatch. «Demografic­a», ancora: come SilverSing­les, che mira a metter insieme — almeno pubblicame­nte, perché poi ogni coppia che si forma toglie due utenti alla società — le persone dai cinquant’anni in su. «Nazionale»: Atraf, un altro esempio, è una app per gli omosessual­i d’Israele. E non funziona al di fuori dei confini del Paese.

Altra categoria è quella dei single con hobby specifici, che potremmo chiamare «Ago nel pagliaio»: perché chi scarica MouseMingl­e non vuole soltanto trovare l’amore (e qui siamo sempre nella versione sdolcinata della vicenda), ma vuole anche che la futura dolce metà abbia una passione specifica per i personaggi Disney.

Con tutta questa attività virtuale, alla fine resta spazio per l’incontro dal vivo? «Sì, perché per me resta comunque cruciale il primo vero appuntamen­to con la ragazza», dice Niccolò N. («niente cognome, per carità!»), ventinoven­ne toscano che da un po’ di mesi usa Tinder. «Dipende però dal perché uno usa le app», rispondono Simone B., venticinqu­e anni, e Andrea C., ventotto, gay e utilizzato­ri di Grindr e Hornet: «Se uno è alla ricerca dell’anima gemella gli incontri dal vivo sono fondamenta­li, però non hanno senso se uno sta solo cercando l’avventura di una notte e basta».

D’accordo anche Elisa D., 32 anni: «Sia io sia mia sorella usiamo Tinder. Ci si scrive un sacco con i profili, ma prima di incontrare ci penso due, dieci, cento volte», racconta. Non si fida? «Macché. È che ogni volta che ci vediamo per un caffè si rivelano di una noia mortale». Per orientamen­to sessuale Le app iniziano a essere usate per incontri sulla base dell’orientamen­to sessuale (sopra il logo di Tinder) Per religione Poi sono arrivate quelle che tengono conto delle fedi degli utenti (sopra l’app per i single ebrei)

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