I martiri gesuiti di Scorsese: viaggio infernale e solitario
L’ultima tentazione di Scorsese è anche la prima: già in Mean Streets diceva che a Little Italy si diventa preti o gangster. 44 anni dopo, l’equazione funziona anche in Silence sceneggiato con Jay Cocks dal libro di Shûsaku Endô. Pure nel Giappone buddista del 1633 si segue la fede cristiana o si tradisce: urge una voce da lassù.
Due increduli gesuiti inviati a Nagasaki per scoprire se padre Ferreira ha abiurato, scoprono la persecuzione. Un viaggio infernale con torture e tradimenti ed infine il ritrovamento del cuore di tenebra, il padre spirituale. Il nuovo martirio è fatto di solitudine. Il silenzio è quello che annunciò Bergman: nei film di Scorsese, rimbalzo di solitudini, è da sempre protagonista. A tu per tu col mistico, il regista ostenta una visionaria, oscura potenza scenografica fra paesaggi da Mizoguchi e pene dantesche: ma il contrappasso lo paga di persona scegliendo una materia scomoda.
La sincera sofferenza dell’autore che invita a 161 minuti di raccoglimento s’immola di fronte all’action di un cinema dove c’è sempre stata colpevole sofferenza, fra i bravi ragazzi del ragù e taxi driver. Film solenne e cinico proprio nel non sentire l’audio di Dio Silence pare il kolossal cult di un regista che, in astinenza di fede, fa un film sul non trovarla, tradirla, offenderla. Perché gli uomini, come ha dimostrato nel suo cinema, non la meritano. Paesaggi e volti meticolosamente perfetti con l’ex Spiderman Andrew Garfield, l’ex Paterson Adam Driver e Liam Neeson, apostata taglia L.