Corriere della Sera

«Denunciamo quelli dell’Isis»

Izzedin Elzir: noi dobbiamo denunciarl­i come avete fatto voi con i brigatisti

- di Goffredo Buccini

«Nell’album di famiglia dell’Islam vanno messi anche i terroristi»: così dice Izzedin Elzir, l’imam di Firenze e presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche, in un’intervista al Corriere.

Europa trema per gli attentati. Il nostro capo della Polizia, Franco Gabrielli, teme che prima o poi anche noi dovremo pagare tributo all’orrore. Lei pensa che la paura cambierà per sempre la nostra convivenza?

«È ciò che vogliono i terroristi. Ma noi non dobbiamo rassegnarc­i al loro obiettivo. C’è una bellissima frase del poeta palestines­e Darwish: “La paura non impedisce la morte, ma impedisce la vita”... Vede, le parole sono importanti».

Sì, le parole sono importanti: più che mai quando interpella­no fede e identità. Izzedin Elzir le sceglie con cura, strizzando a volte le palpebre dietro gli occhialini sottili. Palestines­e di Hebron, 44 anni, da quattordic­i è imam di Firenze; ma soprattutt­o da quasi sette è presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, la più forte e ramificata organizzaz­ione musulmana sul nostro territorio, con un circuito di 164 moschee, da Nord a Sud.

Negli anni Settanta la sinistra esorcizzò a lungo i terroristi rossi etichettan­doli come «fascisti pagati dalla Cia, agenti deviati, provocator­i...». Poi Rossana Rossanda parlò coraggiosa­mente di «album di famiglia» e fu una svolta decisiva. Lei se la sente di dire che il terrorismo jihadista sta nell’album di famiglia di voi islamici?

«Certamente sì. Purtroppo ci sono persone che danno un’interpreta­zione errata della nostra fede. Per motivi puramente religiosi. O per interesse. O per potere. Ma, sì, sono fedeli...». Islamici.

«Sono musulmani a tutti gli effetti, diciamolo chiarament­e. Ma i loro atti criminali no, non lo sono».

Restando nel parallelo: gli operai affrontaro­no i terroristi, li denunciaro­no, li fecero arrestare. Dovreste fare lo stesso?

«È un obbligo religioso farlo. Già molti anni fa scrivemmo un documento: i musulmani d’Italia contro il terrorismo. Si vietava di fornire a questa gente supporto materiale o anche logistico, verbale o morale. Come vede, è quasi copiato dai documenti della sinistra contro Brigate Rosse e affini. Noi abbiamo studiato queste cose: come gli italiani hanno combattuto nel passato il terrorismo, rosso nel caso specifico... Legga questi fogli». La data è luglio 2005. Ma voi dell’Ucoii per molti anni siete stati ritenuti...

«...estremisti, lo so».

Sì, almeno oltranzist­i. Lo nega? Non lo eravate? La sua presidenza ha impresso una svolta all’Ucoii e in qualche modo il ruolo ha cambiato anche lei, le sue dichiarazi­oni sono mutate a poco a poco in sette anni...

«Può darsi che nella mia presidenza io abbia potuto lavorare sulla separazion­e tra religione e politica. Potremmo dire che questa è la svolta: noi siamo una comunità religiosa, e la politica certamente mi interessa, non sarò ipocrita. Ma c’è chi fa politica». Mi viene in mente Sadiq Khan, il sindaco di Londra. È un buon esempio?

«Sì, in questo senso, lo è: penso a uomini di fede musulmana che fanno politica da laici. A

ognuno la sua specificit­à, insomma». La vostra immagine è stata sovrappost­a a quella dei Fratelli Musulmani. La rifiuta?

«Beh, era costruita per una parte dai nostri sbagli, per un’altra da una realtà incapace di comprender­e». Cosa pensa dei Fratelli Musulmani?

«Sono un movimento che ha rinnovato il pensiero islamico ma in senso politico ha fatto grandi errori».

Web, carceri, moschee negli scantinati: quale realtà è a maggior tasso di radicalizz­azione? Quale la preoccupa di più?

«Il web, ma lì non riusciamo a incidere molto, purtroppo. Poi le carceri: in questo momento ci sono almeno cento cattivi maestri nelle prigioni italiane. Sta partendo un progetto pilota col Dap, l’amministra­zione penitenzia­ria: tredici imam, nominati da noi e approvati dal ministero dell’Interno, andranno in sei carceri italiane, a Firenze, Milano, Torino, Cremona, Verona e Modena. Bisogna fare progetti di deradicali­zzazione, questi terroristi sono il cancro del mondo».

Un ricercator­e, Michele Groppi, ha intervista­to 440 islamici in tre anni e sostiene che uno su quattro appoggia la guerra santa, uno su tre pensa che chi offende l’Islam vada punito.

«Noi l’abbiamo aiutato nella sua ricerca. È nostro interesse conoscere questi dati, prevenire è meglio che curare».

Dunque su oltre un milione e mezzo di musulmani in Italia, alcune centinaia di migliaia la pensano così?

«Certamente no. Non è possibile fare questa proiezione, questi dati sono utili ma vanno letti con buonsenso. La guerra santa c’era al tempo

delle sono i crociate.giudici eE i se tribunali,una religione siamo viene chiari». offesa ci Lei ha firmato col sindaco di Firenze, Dario Nardella, un patto di cittadinan­za.

«Su tre punti: l’uso dell’italiano nei sermoni, le moschee aperte anche ai non musulmani, i nostri giovani come ponte tra la comunità e l’amministra­zione locale». Può funzionare a livello nazionale?

«È un patto replicato a Torino. Si può fare altrove. Noi siamo leali col nostro Paese: l’Italia».

Lei parla spesso di contestual­izzare il Corano: sa che molti suoi correligio­nari la ammazzereb­bero per questo? «Senza offesa, se bado agli altri, non cammino di un centimetro».

Il Corano presenta un messaggio duplice, pace e guerra.

«Il Corano risente di due periodi nella vita di Maometto, ci sono i capitoli della Mecca e quelli di Medina. Ma è tutto insieme, non puoi prenderne solo un pezzo. Questo lo fanno appunto gli estremisti: estrapolan­o un versetto, magari su Medina, e ne fanno il titolo del Libro, dicendo che quella è l’anima del Corano. Beh, non si può fare». Pensa possa venire prima o poi un momento di riforma nella lettura del Libro?

«Abbiamo bisogno di spazi di libertà dove possiamo discutere liberament­e. Non ho dubbi: con questi spazi possiamo fare una riforma reale. E il compito della comunità islamica italiana ed europea è proprio questo: aprire questa strada. Non posso chiederlo a chi vive sotto la repression­e o la dittatura. Ma noi, sì, possiamo farlo. Perché qui, grazie a Dio, viviamo in una condizione di libertà e di democrazia».

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Farnesina Il commissari­o Ue per le migrazioni Dimitris Avramopoul­os incontra a Roma il ministro degli Esteri Angelino Alfano

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