Email di Hillary: indagine sull’Fbi
Il Dipartimento di Giustizia apre un’indagine sull’operato del direttore James Comey
L’«emailgate» aveva avvelenato la campagna elettorale per le presidenziali Usa. Ora il Dipartimento di giustizia apre un’inchiesta per verificare l’operato dell’Fbi nel caso delle email di Hillary Clinton.
NEW YORK Un’altra tegola si abbatte su Trump a otto giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca. Dopo l’emergere di un dossier segreto —forse un tentativo di ricatto, uno scandalo se il contenuto verrà provato, comunque un caso che non può essere chiuso in fretta — ora arriva la notizia di un’indagine dell’Ispettore generale del ministero della Giustizia sul comportamento dell’Fbi nel caso delle email che l’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, fece confluire su un suo «server» privato, vulnerabile ad attacchi informatici.
Michael Horowitz, un’«authority» con vasti poteri di indagine che, in base alle norme che ne proteggono l’indipendenza, può essere rimosso solo dal presidente in casi straordinari, dovrà verificare (o, forse lo sta già facendo da tempo e la cosa è trapelata solo oggi) se il direttore dei «federali», James Comey, è andato al di là dei suoi poteri con la conferenza stampa del 5 luglio 2016. Allora il capo del Federal Bureau of Investigation giudicò «estremamente avventato» il comportamento dell’ex ministro degli Esteri ma ne escluse l’incriminazione.
Sotto tiro anche le due lettere mandate al Congresso nel momento cruciale della campagna elettorale: 11 giorni prima del voto Comey riaprì il caso delle email sostenendo che c’era un nuovo filone d’indagine, legato a documenti sequestrati ad Anthony Wiener, un politico democratico ex marito dell’assistente personale di Hillary, Huma Abedin.
La notizia suscitò scalpore e sicuramente contribuì a intaccare la fiducia degli elettori nella candidata democratica. In che misura è difficile dire. Clinton ritiene che il caso Fbi sia responsabile, almeno in parte, per la sua sconfitta (arrivata sul filo di in alcuni statichiave come Michigan e Wisconsin).
Certamente Comey, un repubblicano scelto da Obama in una logica «bipartisan» per il delicato incarico, rendendo pubblica l’indagine ha violato una prassi consolidata dell’Fbi che è quella di non dare notizia di investigazioni in atto se non portano a incriminazioni, soprattutto se possono incidere su un processo elettorale. Stavolta la lettera che ha infiammato la campagna è stata inviata al Congresso (e ai «media») ad appena 11 giorni dal voto. Salvo fare marcia indietro con un «cessato allarme» arrivato 36 ore prima dell’apertura delle urne, quando ormai il danno era fatto.
Insomma anche Comey, l’unico capo dei servizi di sicurezza che dovrebbe restare in carica (quelli della Cia e del National Intelligence cambieranno il 20 gennaio), adesso è sulla graticola. Non è chiaro a cosa possa portare l’iniziativa dell’Ispettore. Solitamente questa «authority» si muove se c’è evidenza d’illegalità, mentre il comportamento di Comey è stato sempre criticato come inopportuno, ma non è stato giudicato illegittimo. Comunque, un’altra ombra che graverà per mesi sulla presidenza Trump.