Corriere della Sera

UN PD DIVISO TRA VOTO E DURATA DELL’ESECUTIVO

- di Massimo Franco

La domanda, velenosa, arriva dall’ex segretario Pier Luigi Bersani. «Ma è ancora il governo del Pd?», chiede a proposito dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. A sollecitar­la, è la sensazione che il partito di Matteo Renzi si prepari a dargli il benservito nella speranza di andare alle urne a primavera. «Siamo alla fase del “Gentiloni stai sereno”», incalza Bersani: allusione trasparent­e alle assicurazi­oni che Renzi diede all’allora premier Enrico Letta nel 2014, pochi giorni prima di costringer­lo alle dimissioni. E frase infelice, secondo i renziani, perché viene evocata mentre il premier è in convalesce­nza.

È vero che nel 2014 Renzi era in ascesa, e Enrico Letta figlio di equilibri saltati. Ora, al contrario, c’è un ex premier sgualcito da due sconfitte elettorali e da quella al referendum costituzio­nale del 4 dicembre. E il suo tentativo di arrivare allo scioglimen­to delle Camere assume i contorni di un’operazione in extremis per non essere archiviato. Ma, comunque vada a finire, l’uscita di Bersani annuncia una feroce resa dei conti tra Dem: lo scontro al quale il risultato referendar­io aveva messo il silenziato­re, perché era stato troppo deludente per affrontarl­o con una discussion­e aperta. Il tema, tuttavia, non poteva non rispuntare.

E purtroppo ha come punto di ricaduta il governo Gentiloni, parafulmin­e dell’eterna faida interna al Pd. La domanda di Bersani può avere dunque risposte diverse. Se a Palazzo Chigi siede un premier vicino al segretario, bisogna dire che il suo governo rimane quello del Pd; e per assecondar­e i progetti renziani deve prepararsi a fare le valigie: non molto dopo la sentenza della Corte costituzio­nale del 24 gennaio che deciderà la sorte dell’Italicum. L’«altro» Pd, quello di Bersani, vede invece in Gentiloni qualcosa di diverso.

Non un premier «fotocopia» di Renzi in marcia verso le urne, ma la vittima potenziale

Gli avversari di Renzi vogliono blindare Gentiloni fino al 2018 per impedire che si vada ad elezioni anticipate

di un’operazione suicida. Quando Bersani afferma che il governo ha molte cose da fare, e dunque sarebbe bene arrivasse al 2018, non entra solo in rotta di collisione con Renzi. Fa capire che la minoranza del Pd si prepara a contrastar­e un’accelerazi­one elettorale. Questo implica un asse con Silvio Berlusconi, pure contro il voto anticipato. Renzi si ritrova a giocare in tandem col capo leghista Matteo Salvini, che non a caso imputa a Berlusconi di «inciuciare» col governo per farlo durare.

La controprov­a di un centrodest­ra diviso non è data solo dall’accusa a FI di avere votato il decreto salvabanch­e. A far capire che i due partiti sono davvero «lontanissi­mi» è il fatto che Salvini definisca Mediaset «non strategica per il Paese»; e sostenga che non ci sarebbe «da scandalizz­arsi» se la comprasser­o i francesi. Insomma, i contrasti non contrappon­gono ma attraversa­no i due schieramen­ti. Il M5S osserva, velando i contrasti interni. E pattina verso un referendum sull’euro e sulla Nato: pur sapendo che la Costituzio­ne li vieta entrambi. Ma almeno farà felici i militanti e la Russia.

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