Corriere della Sera

Priorità agli italiani

- Secondiano Zeroli

Non ho un’istruzione elevata, ma cercherò di esprimere i miei pensieri. I nostri avi, i nostri genitori e tanti parenti sono emigrati un po’ ovunque, ma a quei tempi c’erano altre regole da rispettare. E c’era un razzismo sfrenato e incallito, tra popoli e popoli. Mio padre, emigrato in Belgio dalla Basilicata per fare il minatore, mi ha raccontato episodi davvero spiacevoli riguardo al razzismo e a come venivano trattati con diffidenza perché erano italiani in terra straniera. Oggi gli immigrati approfitta­no dei contributi e degli aiuti che lo Stato e i Comuni danno loro in maniera esagerata e ingiustifi­cata. Credo sia una violenza in tutti i sensi: morale, fisica, psicologic­a. Tutto questo crea un disagio in tutti noi cittadini, un «malvivere», un «malstare», perché dobbiamo vivere nell'ingiustizi­a e nell'incertezza? È deleterio e sconcertan­te. Avevo chiesto anni fa a un sindaco di aiutarmi ad acquistare un appartamen­to: anziché pagare l’affitto, avrei voluto pagare un mutuo affinché un giorno potesse essere una mia proprietà, per poter lasciare un domani qualcosa alle mie figlie. Il sindaco, dopo avermi ricevuto e parlato alcune volte, alla fine rispose: «Signora mi dispiace: noi abbiamo appartamen­ti liberi, ma dobbiamo darli prima agli extracomun­itari». Allora io non avevo l’esperienza e la caparbietà che ho adesso ed ero più giovane, e non ho avuto il coraggio di rispondere a tono. Io, una vedova madre di tre figli, mi sono rimboccata le maniche per non far mancare loro nulla, mi sono sentita rispondere così! Che delusione e che schifo mi hanno fatto quelle parole! Sono andata via da quel paese, ho cambiato casa, pago tuttora l’affitto con l’amaro in bocca, e chissà a quante altre vedove come me, che hanno dovuto fare sacrifici per far studiare i figli, per dare loro un futuro migliore, sono stati negati diritti che oggi vengono dati a chi non è del nostro Paese. Aiutare tutti sì, ma noi italiani in Italia dovremmo essere i primi; invece lo Stato (la nostra «famiglia») ha gestito e sta continuand­o a gestire pessimamen­te, rendendo noi «figli» persone tristi, deluse e frustrate. Maria Cristina Monti

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

Sciascia parlava di due tipi di mafie che si contendeva­no l’onore della cronaca: la mafia «della mafia» e la mafia «dell’antimafia». Oggi, dopo le spericolat­e e poco proficue piroette dei 5 Stelle, possiamo ragionevol­mente affermare che esistono due caste: la casta «della casta» e la casta «della anti-casta». I grillini stanno imparando, altroché se stanno imparando.

Caro Secondiano,

LBagnoregi­o (Vt)

e piroette dei 5 Stelle sono senz’altro spericolat­e. Ma sarebbe sbagliato pensare che costino voti, almeno nell’immediato. Troppe volte si è annunciata la crisi definitiva del grillismo. Che ha radici più profonde di quel che si crede.

Grillo nasce dalla profonda sfiducia degli italiani verso la politica e verso lo Stato. Un sentimento che già aveva generato il fenomeno Berlusconi. Noi italiani pensiamo lo Stato come altro da noi, come alieno, distante, nemico; e spesso lo Stato si comporta in modo tale da confermare il nostro pregiudizi­o negativo. Facciamo fatica a credere che una persona possa fare qualcosa nell’interesse di qualcuno che non sia se stesso. «Pe mmia cu c’è?» dicono a Catania, «a me che mi vien?» si chiedono a Verona. La traduzione è la stessa: e io cosa ci guadagno? A questa attitudine secolare si aggiunge ora la drammatica crisi di credibilit­à dell’establishm­ent politico ed economico. L’Italia ha molti problemi: il più grave è la selezione delle classi dirigenti.

In questo clima di sfiducia reciproca, livore, rancore, aggravato dalla recessione, inasprito dallo sfogatoio della Rete, Grillo ha prosperato. I partiti hanno fatto il resto, restando sordi e ciechi: se ad esempio avessero votato il dimezzamen­to delle indennità proposto da Grillo, gli avrebbero tolto una formidabil­e arma di propaganda. I 5 Stelle rappresent­ano sia il rifiuto dei partiti e dei sindacati, sia la speranza di un rinnovamen­to della politica. Per ridimensio­narli ci vuol altro che firme false o errori nella collocazio­ne europea del Movimento, di cui alla stragrande maggioranz­a degli italiani non importa nulla. Il caso Roma è più serio. Palesement­e la Raggi non sa fare il sindaco della capitale. Ma non per questo i romani sarebbero pronti ad affidarsi alla destra o al Pd. Se si votasse domattina, la Raggi sarebbe rieletta. Per ora.

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