Tra Oriente e Occidente
Tirana oggi è il risultato di sedici anni di modernità. Modernità «alla albanese», come direbbero nei bar che affacciano sulla centralissima piazza Skanderbeg e all’ombra del minareto della moschea di Et’hem Bey — due luoghi che il viaggiatore d’oggi non può non visitare —, che sarebbe un misto tra la voglia urgente di progresso e però, allo stesso tempo, di mantenere saldi i punti della tradizione. Un passo avanti verso Parigi, Londra, Berlino, Milano. Ma sguardo indietro a quando qui, sotto al megamosaico del Museo di storia nazionale, abbattevano la statua in bronzo del padre-padrone comunista, Enver Hoxha, e — prim’ancora — quando gl’italiani di Mussolini non nascondevano le loro ambizioni. Italiani che, nel frattempo, nel 1925 tracciavano anche quelle che sono le arterie principali di Tirana. E che nei prossimi anni saranno rivoluzionate da un altro italiano, l’architetto Stefano Boeri, che ha avuto l’incarico di ridisegnare la città. Senza però minare uno dei punti fermi di quest’area e di questa nazione: la tolleranza religiosa, il rispetto reciproco, il rapporto fraterno tra cristiani e musulmani che si vede dalla convivenza pacifica di moschee e chiese.
La capitale albanese, che conta più di 600 mila abitanti, non è la tipica città turistica dei musei e delle attività culturali. È tutto l’arredo urbano e umano che non si può perdere. Sono le tante caffetterie piene di giovani e anziani che si gustano le loro bevande all’insegna dell’«avash, avash», il «piano piano» assimilato dai turchi