Addio a Bettetini: portò (con Eco) la semiotica in Italia
Nel volume in onore dei suoi 70 anni, Umberto Eco gli aveva dedicato una lunga filastrocca: «Solo un dubbio ora m’assale: troveremo uno scaffale che a ospitare sia capace dei tuoi tomi la vorace abbondanza, che provvedi, e nemmeno amici e eredi riusciranno tutti a leggere…». Gianfranco Bettetini, 1933, è morto ieri nella sua casa di Milano. Non era soltanto il professore che con il suo amico Eco aveva introdotto in Italia gli studi elaborati intorno alla semiotica dagli studiosi di area anglosassone e soprattutto francese (Barthes e Metz su tutti). Era qualcosa di più: un poligrafo, un regista, televisivo e cinematografico, uno scrittore (quattro romanzi), un infaticabile organizzatore culturale. Non era facile seguirlo nelle sue varie avventure culturali, il suo carattere non ammetteva défaillance né resistenze.
Era entrato in Rai nel 1954 come «aspirante regista» e ha sempre svolto la sua attività presso il centro di Milano, prima curando trasmissioni di quiz e varietà (come Campanile sera, L’amico del giaguaro, Il signore delle ventuno), poi dedicandosi alla prosa e agli originali televisivi e infine come dirigente. Ha realizzato, tra gli altri, i film La fine dell’avventura (1969), Stregone di città (1974), Ambrogio di Milano (1976), Semmelweis (1981), L’ultima mazurka (1986).
Studioso di semiotiche audiovisive e dei media, ha diretto la Scuola superiore delle comunicazioni sociali presso l’Università Cattolica di Milano, dov’è stato docente di Comunicazioni di massa e maestro di molti allievi. Nella sua intensa attività di ricerca si è occupato in particolare degli aspetti pragmatici della comunicazione audiovisiva (Tempo del senso, 1979; La conversazione audiovisiva, 1984) e delle questioni teoriche sollevate dall’evoluzione della tecnologia elettronica e dall’avvento dei new media (Il segno dell’informatica, 1987; La simulazione visiva, 1991; Le nuove tecnologie della comunicazione, 1993; L’audiovisivo, dal cinema ai nuovi media, 1996). In collaborazione con altri autori, ha pubblicato Eros, memoria e civiltà (1999), Nuovi strumenti del comunicare (2001), Semiotica II. Configurazione disciplinare e questioni contemporanee (2003).
In varie forme, si è occupato a lungo delle comunicazioni di massa. Ne paventava i rischi, li indicava con chiarezza. Da fervido cattolico, temeva i messaggi ideologizzati, così come il rischio di persuasione e di fiducia incondizionata per la forte legittimazione sociale di cui i media godono. Non si stancava di evidenziare i pericoli di manipolazione cui la realtà andava incontro nei processi di rappresentazione. Ma per lui non esistevano solo rischi. Era ben cosciente della capacità che i media hanno di fornire informazione e sapere a una massa sterminata di persone, della loro forza capace di innescare inusuali fenomeni di socializzazione. L’importante, amava ripetere, è che vi sia un contatto ben approfondito con la realtà e che da parte di chi fa le trasmissioni o scrive una notizia sia dichiarato il punto di vista per evitare ogni tipo di confusione.
Chi scrive ha avuto con lui un lungo sodalizio di studi e di lavoro. Negli ultimi anni molte cose ci avevano separato, fatalmente. Non certo la stima e la riconoscenza. Gianfranco Bettetini, nato nel 1933, è scomparso ieri a Milano