Corriere della Sera

Quando gli stilisti riscoprono l’effetto «cuore»

Ne arrivano un diluvio su Messenger e WhatsApp, gli stilisti lo riscoprono per abiti e gioielli. Ma cosa significa veramente?

- Maria Egizia Fiaschetti

Secondo nella classifica globale degli emoji preferiti. Scintillan­te, trafitto dal dardo di Cupido, in fibrillazi­one. Su Messenger il diluvio è sinestetic­o: accompagna­to dal sonoro effetto sciabordio, per inondare la chat di tenerezza. Resiste, il cuore, nella babele segnica della comunicazi­one digitale. Pittogramm­a, logo, icona. Da indossare, nella versione dello stilista Hedi Slimane: una cappa di pelliccia rossa, ovvero la sua lettera d’amore a Parigi prima di lasciare Yves Saint Laurent. Riprodotta all’infinito, la sintesi grafica del muscolo cardiaco: su abiti, accessori, collant. E gioielli: tra gli altri la linea solidale «See Me» della designer Caterina Occhio, prodotta da ragazze madri vittime di abusi e scelta come simbolo per il 20° anniversar­io del fondo Onu contro la violenza alle donne. Nel frattempo sono tornati in tv, nel remake del seguitissi­mo cartone anni Ottanta, i Care Bears: gli Orsetti del cuore, ciascuno con un simbolo emozionale sulla pancia. Possibile che in Rete dilaghi il romanticis­mo? Che nella community sia più facile aprirsi, tanto si può sempre tornare indietro? Clic, un cuoricino: tra i segnali di approvazio­ne ai commenti su Facebook alternativ­o al pollice alzato. Su Instagram e Twitter sostituisc­e il like. Sfumato, e ambiguo, quanto basta: per mantenere un certo margine di indetermin­atezza. Lo sanno bene, adolescent­i e non, quanto ci si arrovella per decifrare quel cuore apparso in bacheca, piovuto come un meteorite da chissà quale galassia. Che sia un messaggio è inconfutab­ile: ma di cosa? E se arriva da un semisconos­ciuto, come bisogna interpreta­rlo? Mi piaci tu, quello che hai scritto, la tua foto? Senza contare che, per chi passa intere giornate davanti allo schermo, potrebbe anche non avere alcun significat­o: uno slancio estemporan­eo si perdona a tutti, per schivare le domande scomode basta tornare offline. Tanto è vero che, sui social, è prevista la modalità ripensamen­to: con la stessa disinvoltu­ra con cui ci si lascia scappare un’effusione di troppo la si può cancellare in un nanosecond­o. Perché, allora, questo effluvio di cuori neanche fossimo nella Summer of love?

Non sarà che l’abuso inconsapev­ole finisce per erodere il significat­o, delegando al simbolo la rappresent­azione del nostro universo interiore? Una complessit­à che, prima di poterla condivider­e, sta a noi esplorare. Se non fosse che preferiamo crogiolarc­i nella narrazione edulcorata del Web: spazio nel quale i sentimenti tendono a polarizzar­si, lover o hater, buonisti o odiatori. Intervista­ta da Jonathan Franzen sul New York

Times, la psicologa Sherry Turkle, autrice del

saggio Reclaiming Conversati­on. The Power of

Talk in a Digital Age (Penguin books, 2015), sottolinea come texting compulsivo, tirannia delle email e attivismo superficia­le sui social siano fatti per sguazzarci dentro. La conclusion­e dei suoi studi è che l’euforica sudditanza verso le tecnologie digitali ci abbia portato ad atrofizzar­e qualità umane come l’empatia e l’auto-riflession­e e che sia arrivato il momento di riaffermar­e noi stessi, comportarc­i da adulti e mettere i new media al loro posto. Da qui, la necessità di riconquist­are la dimensione dialettica: «Se non siamo in grado di separarci dallo smartphone — spiega Turkle — tenderemo a consumare le altre persone come se fossero bit: pezzi di riserva per compensare le nostre fragilità». Mariella Combi, docente di Antropolog­ia culturale alla «Sapienza» di Roma, vede nella profusione di cuori e faccette «un modo inconsapev­ole per richiedere affettivit­à e una relazione interperso­nale significat­iva». E però, nella velocizzaz­ione di Internet, si finisce per perdere il contatto con la vita reale. Se non fosse che l’emoji, per quanto sdoganato, racchiude comunque un intento comunicati­vo. Cosa desiderano i nativi digitali? «Spesso sono loro i primi a non capirsi, a sorprender­si del modo in cui noi li vediamo — rivela l’esperta — . La mia idea è che, al di là della comunicazi­one istantanea, vogliano ritrovare il dialogo a tu per tu. Si rendono conto di non saper più riconoscer­e le emozioni sul viso degli altri». E chissà che, a Cupertino, non abbiano intuito l’eccesso di sentimenta­lismo con il lancio, tra le new entry del 2017, del black heart, il cuore nero. Per chi non teme di mostrarsi glaciale e inavvicina­bile: altro che social.

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