Corriere della Sera

Quel legame a rischio tra debito pubblico e credito

- di Federico Fubini

Sarebbe stato sorprenden­te, purtroppo, se Dbrs avesse deciso di non ridurre il giudizio sull’Italia a questo punto. Fino a ieri sera il rating dell’agenzia canadese sul debito di Roma era migliore di quello di tutte le sue concorrent­i più grandi. Soprattutt­o, era di ben cinque gradini sopra alla valutazion­e diretta degli investitor­i su questo delicatiss­imo argomento: i prezzi dei derivati di credito, strumenti di assicurazi­one sui titoli di Stato, da tempo pongono implicitam­ente l’Italia nel segmento «junk» (o «spazzatura»). Il premio da pagare per avere questi derivati disegnati come polizze contro l’ipotesi di un default sottintend­e, nel caso dell’Italia, un rating più basso di quello della più severa delle agenzie, Standard & Poor’s.

Queste realtà contengono un messaggio per la classe politica di uno Stato che ha bisogno di circa 400 miliardi di euro l’anno solo per la gestione ordinaria. Dicono che ogni giorno di ritardo nelle misure per modernizza­re il Paese — tutte già note, spesso già scritte — va direttamen­te a danno di milioni di famiglie che lavorano, risparmian­o e cercano di preparare un futuro per i propri figli. È infatti ormai impossibil­e dissimular­e la portata dei rischi, ora che la Banca centrale europea si avvia in modo graduale, ma inevitabil­e, a rallentare sempre più gli acquisti dei titoli di Stato. Non è chiaro chi ne comprerà al suo posto tra qualche mese, o l’anno prossimo.

Un punto però colpisce più degli altri, nelle parole con le quali l’agenzia canadese ieri ha motivato la sua scelta. Dbrs ricorda la «debolezza persistent­e del settore bancario» anche perché — scrive — «la decisione di creare un fondo (pubblico, ndr) da 20 miliardi di euro non rimuove completame­nte la vulnerabil­ità del sistema, né apre la strada a una significat­iva riduzione dell’elevato livello di crediti in default». Significa che molte banche dovranno affrontare altre svalutazio­ni di quei prestiti e altre perdite, prima di tornare a un funzioname­nto normale. Serviranno altre risorse per ricapitali­zzare gli istituti, anche perché le carenze nelle misure approvate nel 2016 nelle procedure di recupero crediti contribuis­cono a

Il segnale del mercato Già i credit default swap evidenziav­ano un potenziale downgrade del giudizio sulla tenuta dei titoli di Stato

svalutare questi ultimi e erodere il patrimonio delle banche. Quegli stessi problemi nei tempi e nella certezza della giustizia civile contribuis­cono anche a tenere lontani gli investitor­i privati. Non è dunque difficile prevedere che presto salirà la pressione perché lo Stato si faccia carico di altri aiuti dopo quello al Monte dei Paschi, come se il debito pubblico fosse una variabile irrilevant­e.

Non lo è. Più le banche avranno bisogno di sostegno, più il debito pubblico salirà, più i prezzi dei titoli di Stato rischiano di scendere. Ma più questi scendono, più le banche che ne detengono per 380 miliardi subiranno perdite, più esse avranno bisogno di nuovi aiuti. Naturalmen­te l’Italia non è caduta in questa spirale, per il momento. Ma il governo non può fare i propri conti come se questa possibilit­à non esistesse nella meccanica del sistema finanziari­o.

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