Quel legame a rischio tra debito pubblico e credito
Sarebbe stato sorprendente, purtroppo, se Dbrs avesse deciso di non ridurre il giudizio sull’Italia a questo punto. Fino a ieri sera il rating dell’agenzia canadese sul debito di Roma era migliore di quello di tutte le sue concorrenti più grandi. Soprattutto, era di ben cinque gradini sopra alla valutazione diretta degli investitori su questo delicatissimo argomento: i prezzi dei derivati di credito, strumenti di assicurazione sui titoli di Stato, da tempo pongono implicitamente l’Italia nel segmento «junk» (o «spazzatura»). Il premio da pagare per avere questi derivati disegnati come polizze contro l’ipotesi di un default sottintende, nel caso dell’Italia, un rating più basso di quello della più severa delle agenzie, Standard & Poor’s.
Queste realtà contengono un messaggio per la classe politica di uno Stato che ha bisogno di circa 400 miliardi di euro l’anno solo per la gestione ordinaria. Dicono che ogni giorno di ritardo nelle misure per modernizzare il Paese — tutte già note, spesso già scritte — va direttamente a danno di milioni di famiglie che lavorano, risparmiano e cercano di preparare un futuro per i propri figli. È infatti ormai impossibile dissimulare la portata dei rischi, ora che la Banca centrale europea si avvia in modo graduale, ma inevitabile, a rallentare sempre più gli acquisti dei titoli di Stato. Non è chiaro chi ne comprerà al suo posto tra qualche mese, o l’anno prossimo.
Un punto però colpisce più degli altri, nelle parole con le quali l’agenzia canadese ieri ha motivato la sua scelta. Dbrs ricorda la «debolezza persistente del settore bancario» anche perché — scrive — «la decisione di creare un fondo (pubblico, ndr) da 20 miliardi di euro non rimuove completamente la vulnerabilità del sistema, né apre la strada a una significativa riduzione dell’elevato livello di crediti in default». Significa che molte banche dovranno affrontare altre svalutazioni di quei prestiti e altre perdite, prima di tornare a un funzionamento normale. Serviranno altre risorse per ricapitalizzare gli istituti, anche perché le carenze nelle misure approvate nel 2016 nelle procedure di recupero crediti contribuiscono a
Il segnale del mercato Già i credit default swap evidenziavano un potenziale downgrade del giudizio sulla tenuta dei titoli di Stato
svalutare questi ultimi e erodere il patrimonio delle banche. Quegli stessi problemi nei tempi e nella certezza della giustizia civile contribuiscono anche a tenere lontani gli investitori privati. Non è dunque difficile prevedere che presto salirà la pressione perché lo Stato si faccia carico di altri aiuti dopo quello al Monte dei Paschi, come se il debito pubblico fosse una variabile irrilevante.
Non lo è. Più le banche avranno bisogno di sostegno, più il debito pubblico salirà, più i prezzi dei titoli di Stato rischiano di scendere. Ma più questi scendono, più le banche che ne detengono per 380 miliardi subiranno perdite, più esse avranno bisogno di nuovi aiuti. Naturalmente l’Italia non è caduta in questa spirale, per il momento. Ma il governo non può fare i propri conti come se questa possibilità non esistesse nella meccanica del sistema finanziario.