Orbán, nuova sfida: detenzione per i profughi
ancora una sfida, per sua stessa ammissione «apertamente contro l’Europa». Il primo ministro ungherese Viktor Orbán reintroduce la detenzione preventiva per i richiedenti asilo. Una misura che non solo viola le norme comunitarie, ma contraddice la Convinzione di Ginevra (alla quale anche Budapest, nel 1989, ha aderito). «Dobbiamo proteggere la nostra sovranità», ha sostenuto il leader ultraconservatore, annunciando nuove «importanti battaglie» contro Bruxelles a venire.
Non si tratta di una ostilità recente. Benché sconfitto nel referendum sulle quote di dicon stribuzione dei profughi nell’Unione (non raggiunse il quorum), Orbán insiste sulla linea populista, xenofoba e anti-europea che l’ha portato al governo nel 2010. L’«emergenza immigrazione» si ripete nei suoi discorsi. Appena due giorni fa, in occasione del giuramento dei cadetti della guardia di frontiera, ha avvertito che l’afflusso «non si fermerà» e che l’Ungheria non può affidarsi a Bruxelles. «In Europa, viviamo un tempo dell’ingenuità e dell’incapacità — parole sue —: gli immigrati sono vittime dei trafficanti, ma anche dei politici europei, che incoraggiano la migrazione la politica di accoglienza. Da noi, non ci saranno camion che investono chi festeggia», riferimento all’attentato ai mercatini di Natale a Belino, lo scorso 19 dicembre.
Le cifre diffuse a Budapest a fine anno, però, smentiscono la linea dell’«emergenza continua»: dei 29.432 richiedenti asilo che hanno presentato domanda nel 2016, la grande maggioranza ha continuato il viaggio verso altri Paesi; al 27 dicembre, 467 persone erano registrate nei centri di accoglienza ungheresi, e di queste 273 si trovavano in strutture chiuse (senza libertà di movimento).
La propaganda di Orbán nella pratica, però, ha conseguenze. «Il governo ha deciso di ristabilire la detenzione degli stranieri da parte della polizia» significherà concretamente uno stato di fermo per chiunque varchi irregolarmente la frontiera ungherese, anche se avesse diritto alla protezione internazionale.
La procedura era stata già introdotta e quindi ritirata nel 2013, in seguito alle pressioni dell’Ue, dell’agenzia Onu sui rifugiati, della Corte europea dei Diritti dell’uomo. Adesso si ricomincia.