Corriere della Sera

Lo sprint di Panerai Cinque orologi per l’America’s Cup

Il marchio fiorentino main sponsor della gara Serie per collezioni­sti, in edizione limitata

- Augusto Veroni

La coppa Il trofeo messo in palio nella competizio­ne che si svolgerà dal prossimo 26 maggio al 27 luglio e che quest’anno ha come sponsor le Officine Panerai a bandiera italiana sull’America’s Cup. Ce la porterà, fra pochi mesi (26 maggio – 27 luglio), Angelo Bonati, ceo di Officine Panerai. Il marchio italiano, appartenen­te al gruppo Richemont di Johann Rupert (da Cartier a Jaeger-LeCoultre, da Vacheron Constantin a Baume & Mercier) sarà main sponsor non solo dell’America’s Cup, ma anche di Oracle Team, la barca americana sfidata da una gran quantità di pretendent­i fra cui i giapponesi di Soft Bank Team (anch’essi sponsorizz­ati da Panerai), la prima barca orientale, negli ultimi 15 anni, a sfidare il detentore della Coppa: Oracle, appunto.

La competizio­ne, nata nel 1851, si chiama così perché la prima barca a vincere (contro il meglio della flotta britannica) si chiamava America. Un consorzio di uomini d’affari di New York spedì lo schooner America al di là dell’Atlantico per rappresent­are gli Stati Uniti all’Esposizion­e universale di Londra. Lo schooner vinse la regata al largo dell’isola di Wight e un premio consistent­e in una grande ed elaborata coppa d’argento del valore di 100 sterline dell’epoca. Trofeo che in seguito venne sempre rimesso in palio dal vincitore contro una vera e propria flotta di barche, dalla quale veniva e viene ancor oggi selezionat­o lo sfidante ufficiale.

La notizia, che verrà resa pubblica al Salon Internatio­nal de la Haute Horlogerie di Ginevra (16-20 gennaio), è potente perché premia il lungo lavoro della marca e dei suoi uomini (un’isola tutta italiana all’interno del Gruppo Richemont) per portare il brand fiorentino ai vertici dell’orologeria mondiale. È pur sempre una sponsorizz­azione, certo, e quindi un bel po’ di soldi in ballo; ma sbagliereb­be chi pensa basti pagare, in casi come questo. Per un evento universale come l’America’s Cup c’era la fila di sponsor: Il fondello del Luminor Regatta, forse il pezzo più interessan­te, per i collezioni­sti, fra i 5 modelli presentati per ricordare la partecipaz­ione di Officine Panerai alla prossima America’s Cup, fra giugno e luglio prossimi Il Luminor Regatta realizzato in 200 esemplari per il Team Oracle. È l’unico orologio meccanico da regata in cui è possibile variare la durata del conto alla rovescia per cronometra­re le fasi prima del taglio della linea di partenza no, qui servono cuore, tradizione e lo sguardo aperto sul futuro della tecnologia per entrare nella logica di una competizio­ne che dura da 166 anni e 35 edizioni, una sfida che vedrà quest’anno barche tanto tecnologic­amente avanzate da poter volare, letteralme­nte, ad oltre 90 chilometri all’ora sulla cresta delle onde. La stessa sfida tecnologic­a che Officine Panerai — nasce nel 1860, poco dopo l’America’s Cup — ha saputo affrontare sempre nel solco della propria storia con orologi realizzati in fibra di carbonio, titanio, ceramica hi-tech animati da movimenti meccanici tradiziona­li.

Per i collezioni­sti Angelo Bonati ha preparato cinque serie di orologi in tiratura limitatiss­ima, massimo 300 esemplari, fra cui alcuni cronografi con scala tachimetri­ca in nodi. Tutti destinati ad aumentare di valore nel tempo, con speciale attenzione per il Luminor 1950 Regatta Oracle Team Usa 3 Days Chrono Flyback Automatic Titanio, l’unico da regata con il dispositiv­o di conto alla rovescia impostabil­e su durate variabili; in questo modo si evita l’obsolescen­za dell’orologio nel caso nuovi regolament­i cambiasser­o la durata della fase preparator­ia prima del taglio della linea di partenza a inizio regata. Cassa in titanio, 47 millimetri di diametro, verrà realizzato in soli 200 esemplari, a malapena sufficient­i per il mercato statuniten­se.

Angelo Bonati: prima rocker, poi velista e infine ceo di Officine Panerai. Possiede Eilean, un ketch di 22 metri del 1936 scoperto ad Antigua e restaurato dal marchio italiano d’orologi

Officine Panerai appartiene al gruppo Richemont di Johann Rupert (da Cartier e Jaeger, da Vacheron Constantin a Baume & Mercier)

La America’s Cup, nata nel 1851, si chiama così perché la prima barca a vincere la sfida si chiamava «America»: era uno schooner arrivato da New York «È come debuttare a San Siro per un calciatore di Milano. È un’emozione autentica». Francesco Ragazzi (nella foto) non poteva che rilasciare quest’intervista telefonica seduto all’ombra di una palma, nella «sua» California del Sud della quale è ormai cittadino onorario, perché alle palme deve la carriera di stilista dall’ascesa straordina­riamente rapida che verrà consacrata dopodomani nella sua prima sfilata milanese. Palm Angels è il marchio di sua creazione e «Palm Angels» è il titolo del libro fotografic­o che neppure due anni e mezzo fa ha dato il via a tutto. Ragazzi è art director di talento (Moncler) e fotografo: nel settembre 2014 Rizzoli ha pubblicato il suo libro (prefazione dell’ amico fraterno Pharrell Williams), foto di skaterboar­der scattate tra Venice e Manhattan Beach, California in un bianco e nero limpido e scintillan­te che ricorda quello del suo eroe Herb Ritts. Angeli dello skateboard che volano nel cielo, ragazzi dai capelli biondi, l’espression­e enigmatica, che sembrano librarsi nella luce radente delle half-pipe di cemento affascinan­ti come dune. Poi la mostra da Colette, Parigi, la mostra a Milano. L’idea di realizzare una minicollez­ione che nella primavera del 2015 cattura subito l’attenzione dei grandi magazzini del lusso americano e asiatico, tra street style e post preppy, indossata da Pharrell («Mio fratello») e A$AP Rocky. La prima presentazi­one a Milano. Poi la sfilata a Parigi lo scorso giugno, ben recensita. La scelta — saggia — di tornare regolarmen­te a Los Angeles per incontrare gli stylist che decidono i look di tanti musicisti e attori (Ragazzi non fa genderless ma fa abiti maschili dal fit asciutto che stanno bene anche alle donne). E ora ecco la passerella milanese, dopodomani. «Credo che sia sbagliato pensare che Milano sia, nel menswear, la città della tradizione. È anche quello, ma non soltanto tradizione e sartoria. Magari ci sono fashion week più brave a promuovers­i come elemento di novità, come trainanti, ma per Milano è forse questione di una certa timidezza, di una certa ritrosia. Ma c’è tanta innovazion­e anche qui, tanti stilisti che qui emergono e potranno emergere: è una gioia esserci, a Parigi sono stato trattato benissimo ma questa è la mia città. Giocare in casa è difficile, emozionant­e, ma anche molto bello». (m.per.)

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