L’Italia, Paese fondato sulle icone (che hanno reso grandi le imprese)
Dal treno al contatore, un libro e una mostra raccontano la forza del design
Il treno con il profilo filante, una poltroncina da trasmissione tv, la macchina per l’espresso che sembra un’architettura, il contatore bianco. Oggetti noti come se appartenessero da sempre al nostro quotidiano eppure capaci di stimolare un immaginario. La sintesi sta in quella bottiglietta a tronco di cono rovesciato, nata nel 1932 dalla matita di Fortunato Depero per il Camparisoda, che fonde l’arte in un prodotto per il consumo veloce come un aperitivo monodose. La forma che agevola il gesto, nessuna etichetta a distogliere l’attenzione dal contenitore (e dal suo contenuto) ma solo il marchio a rilievo nel vetro smerigliato. Risultato, un prodotto «totale».
«Si tratta di icone, nate dalla visione di imprenditori illuminati che in un certo momento storico hanno visto in un apporto creativo un contributo importante per definire attraverso un oggetto la propria identità», spiega Francesca Molteni, autrice del volume «Icone d’impresa» e curatrice della mostra itinerante «50+! Il grande gioco dell’industria» ideata sulla scorta di questa ricerca. Oltre 50 pezzi icona, dalla Vespa al calcolatore Programma 101 di Olivetti firmato da Mario Bellini, dalla scatola color carta da zucchero della pasta Barilla al pneumatico Cinturato Pirelli: emblemi di un certo periodo, di un progresso tecnologico, di uno stile di vita. «È una creatività trasversale a vari settori, scaturita da designer e artisti ma anche da persone non note, semplicemente parte della “squadra” aziendale», precisa Molteni. Il risultato sono oggetti diventati (a volte inaspettatamente) universali. C’è di più: nel concetto di icona è insita la presenza di una funzionalità vera, in grado di rispondere a un bisogno reale, ma anche la capacità di essere un dirompente strumento di comunicazione. «Lo testimoniano gli archivi e i musei delle aziende, che raccontano come da un’idea si arriva alla sua realizzazione, il processo di trasformazione da cui la materia diventa prodotto. E lo fanno diventare un’esperienza per il visitatore», spiega Giancarlo Gonizzi, vicepresidente di Museimpresa (l’associazione che raccoglie 66 musei d’impresa italiani dai quali sono stati scelti i pezzi icona raccontati nel volume). «Chi visita il museo si identifica con quello che vede, e questo crea un legame affettivo con l’oggetto e con la marca», sottolinea.
Un veicolo fondamentale, questo, anche per raccontare lo stile di vita italiano, come testimonia il successo della mostra, richiesta anche da ambasciate e istituti di cultura italiani all’estero, dall’Oman alla Cina, dal Venezuela alla Turchia (le tappe di marzo saranno Dakar e Singapore, che seguiranno l’esposizione in febbraio al Poltrona Frau Museum di
Tolentino). «La Vespa, per esempio, nell’Italia del dopoguerra è stato il primo mezzo di locomozione di massa, ha rappresentato la libertà di andare per chi ancora non poteva permettersi un’auto. Il Settebello invece fu il primo treno veloce con il comfort degli interni, progettati da Gio Ponti e Giulio Minoletti che prevedevano già il ristorante e persino l’edicola», racconta Molteni.
La macchina da bar per l’espresso dei fratelli Castiglioni che, nella forma di un’architettura, semplificò le funzioni inserendole in un unico vano; il contatore del gas dell’Enel, arrivato nelle nostre case negli anni 60 con un design anonimo e, nel 2001, rivisitato da Michele De Lucchi; la poltrona Intervista, pensata dai Vignelli per un nuovo studio tv senza «mezzibusti» quando furono chiamati nel 1969 a ripensare
l’immagine coordinata del Tg2: gesti quotidiani e cambiamenti del costume sintetizzati in un oggetto. Icone equivale anche a prodotti di successo, alcuni rimasti identici, altri non più realizzati, altri ancora modificati in base all’evoluzione dei tempi: «Senza adeguarsi al cambiamento, ma governandolo: è stata la capacità delle imprese italiane», sintetizza Gonizzi. Siano le liquirizie Amarelline, evolute nella percezione da pastiglie in caramelle. O il calcolatore tutto italiano di Olivetti, precursore del desktop, che sarebbe diventato fonte di ispirazione addirittura per Steve Jobs.
La fonte Una miniera d’oro sono i musei delle aziende che sanno unire le idee alla loro realizzazione