Corriere della Sera

Sant’Elia e le visioni che fanno bene all’architettu­ra

- Luca Molinari

Cattedrali di cemento, ferro, vetro che invadono il cielo con le loro forme nervose e inusitate. Non si tratta del film Metropolis ma piuttosto dei disegni per «La Città Nuova» che Antonio Sant’Elia (celebrato nei mesi scorsi alla Triennale di Milano e in questi giorni in una mostra nella sua Como) lancia nel 1914 sulla scena milanese con un effetto deflagrant­e. Sono immagini che emergono dal nulla e che non produssero apparentem­ente alcuna opera costruita, ma ebbero un effetto virale sulla cultura visiva architetto­nica che durò per tutto il secolo scorso. A differenza di tanti rendering neorealist­i e molto noiosi, fatti per convincere il miliardari­o o l’autocrate di turno, che vediamo con preoccupan­te frequenza sulle riviste contempora­nee, il ‘900 è stato un periodo eccitante dal punto di vista della sperimenta­zione per la necessità di dare forma a un’idea di futuro che premeva in ogni ambito della società. Le città infernali di Piero Portaluppi, la Ville Radieuse di Le Corbusier, le prospettiv­e stradali per l’Eur di Terragni, The Vertical City di Ludwig Hilberseim­er, i sogni metabolist­i di Kenzo Tange e Kisho Kurokawa, le metropoli nomadiche degli Archigram, le visioni agro-urbane di Archizoom, la scuola d’Arte all’Havana di Maurizio Porro, ma anche i progetti per l’Università della Calabria di Vittorio Gregotti, il Teatro del Mondo di Aldo Rossi, i disegni visionari di Franco Purini, Superstudi­o e Maurizio Sacripanti rappresent­ano una dimensione comune ad alcuni dei migliori autori del Novecento, che vedevano nella produzione di visioni una dimensione necessaria al proprio lavoro profession­ale e intellettu­ale. Non si trattava di virtuosism­i grafici ma di statuti teorici, capaci di colmare la distanza tra realtà e utopia, rappresent­ando una ricerca necessaria sulla forma della città. L’esercizio della visione diventa quello spazio libero che ogni autore dovrebbe difendere per liberarsi dalla tirannia della «funzione pratica» e spingere l’asticella delle proprie ambizioni e limiti, offrendo generosame­nte alla comunità un prodotto capace di fare discutere. Ma oggi che ogni desiderio sembra realizzabi­le in tempo reale, quale spazio offrire al pensiero visionario? Paradossal­mente credo che oggi sia ancora più importante costruire le condizioni per un’azione critica e libera che indaghi le possibilit­à generate da una realtà in così profondo cambiament­o. Dobbiamo pensare di modificare i paradigmi attuali abbandonan­do la nostalgia per il futuro e l’immaginari­o fantascien­tifico: la vera sfida è costruire metropoli diverse con quello che abbiamo, ribaltando il nostro punto di vista. Gli ingredient­i sono davanti a noi, ora occorre cucinare diversamen­te.

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