Sant’Elia e le visioni che fanno bene all’architettura
Cattedrali di cemento, ferro, vetro che invadono il cielo con le loro forme nervose e inusitate. Non si tratta del film Metropolis ma piuttosto dei disegni per «La Città Nuova» che Antonio Sant’Elia (celebrato nei mesi scorsi alla Triennale di Milano e in questi giorni in una mostra nella sua Como) lancia nel 1914 sulla scena milanese con un effetto deflagrante. Sono immagini che emergono dal nulla e che non produssero apparentemente alcuna opera costruita, ma ebbero un effetto virale sulla cultura visiva architettonica che durò per tutto il secolo scorso. A differenza di tanti rendering neorealisti e molto noiosi, fatti per convincere il miliardario o l’autocrate di turno, che vediamo con preoccupante frequenza sulle riviste contemporanee, il ‘900 è stato un periodo eccitante dal punto di vista della sperimentazione per la necessità di dare forma a un’idea di futuro che premeva in ogni ambito della società. Le città infernali di Piero Portaluppi, la Ville Radieuse di Le Corbusier, le prospettive stradali per l’Eur di Terragni, The Vertical City di Ludwig Hilberseimer, i sogni metabolisti di Kenzo Tange e Kisho Kurokawa, le metropoli nomadiche degli Archigram, le visioni agro-urbane di Archizoom, la scuola d’Arte all’Havana di Maurizio Porro, ma anche i progetti per l’Università della Calabria di Vittorio Gregotti, il Teatro del Mondo di Aldo Rossi, i disegni visionari di Franco Purini, Superstudio e Maurizio Sacripanti rappresentano una dimensione comune ad alcuni dei migliori autori del Novecento, che vedevano nella produzione di visioni una dimensione necessaria al proprio lavoro professionale e intellettuale. Non si trattava di virtuosismi grafici ma di statuti teorici, capaci di colmare la distanza tra realtà e utopia, rappresentando una ricerca necessaria sulla forma della città. L’esercizio della visione diventa quello spazio libero che ogni autore dovrebbe difendere per liberarsi dalla tirannia della «funzione pratica» e spingere l’asticella delle proprie ambizioni e limiti, offrendo generosamente alla comunità un prodotto capace di fare discutere. Ma oggi che ogni desiderio sembra realizzabile in tempo reale, quale spazio offrire al pensiero visionario? Paradossalmente credo che oggi sia ancora più importante costruire le condizioni per un’azione critica e libera che indaghi le possibilità generate da una realtà in così profondo cambiamento. Dobbiamo pensare di modificare i paradigmi attuali abbandonando la nostalgia per il futuro e l’immaginario fantascientifico: la vera sfida è costruire metropoli diverse con quello che abbiamo, ribaltando il nostro punto di vista. Gli ingredienti sono davanti a noi, ora occorre cucinare diversamente.