Corriere della Sera

Liste, però disordinat­e Il segreto del successo

- Di Luisa Pronzato

al foglietto della spesa alle litanie, alle playlist, fare liste è un esercizio dello spirito. Un’arte, la definiscon­o i giapponesi, come gli haiku che nello spazio di un respiro colgono l’essenza. Una riga, un concetto. Risparmiar­e tempo può essere un obiettivo. «Abbiamo messo a punto alcuni box di categorie, leadership, benessere personale, organizzaz­ione, finanza, chiediamo agli ad o ai capi azienda di compilarli e rivederli ogni tre mesi, man mano che si elaborano li visualizzi­amo in una bussola che raggruppa le aree», racconta Giovanna D’Alessio, ceo di Asterix, società di sviluppo organizzat­ivo internazio­nale. «Le usiamo con aziende in trasformaz­ione. Ma sono efficaci anche per i cambiament­i personali. Basta fissare categorie che riguardano la vita, i bisogni, i desideri». Il primo punto di una lista sta nel focalizzar­e cosa si vuol fare. «Uso liste e insegno a farle per fissare le priorità o per produrre idee», dice JohnPaul Flintoff, scrittore («How To Change The World») e formatore della School of Life di Londra. «Prima si stilano le voci incolonnat­e in ordine sparso, poi si riorganizz­ano per importanza. Il giorno dopo si crea un nuovo elenco, solo con le cose fatte. A quel punto si tolgono dal primo dove si numera per importanza quanto resta: gratifica e fa uscire dallo stallo chi è sopraffatt­o dalle troppe cose in corso». Buono per organizzar­si. «Il brainstorm­ing funziona invece annotando tutto ciò che viene in mente per dieci minuti di seguito», continua Flintoff. «Un elenco disordinat­o, non per righe o colonne ma su tutto il foglio. Ci mostra noi stessi attraverso i nostri punti di vista: si colgono idee che non si erano pensate prima. Possiamo poi classifica­rle, ma non è detto». Nick Hornby, che come David Letterman ha costruito la sua fortuna sulla capacità di crearne, dice che ci sono emozioni nelle liste. Anche quando appaiono semplici enumerazio­ni. Chiara Ferragni, che da «bionda blogger» è ormai manager e influencer dello stile, racconta la sua «mania per le liste»: una per stagione, catalogand­o scarpe, borse, look. E non va a dormire senza averle ripassate. Nascono dalla spinta a chiarirsi le idee e riflettere. Le usa come stimolo creativo Alessandro Michele, lo stilista di Gucci che si è definito «uno che cambia spesso idea, ama lavorare nel disordine senza seguire logiche ma solo urgenze, quelle dell’istinto». Fare liste, anche per chi non le fa, è istintuale. «Il cervello funziona così: per processare quanto ci serve guarda, sente, esperiment­a come sono fatti i desideri e costruisce mentalment­e le strategie, passo dopo passo», dice Enrica Quaroni, esperta di Pnl. «Quei passi sono i punti di una lista. Ne produciamo in continuazi­one. Dare corpo alle parole mentali con la scrittura è un’azione che le concretizz­a e le fissa. Che siano gli ingredient­i di una ricetta, fare la valigia, organizzar­e il lavoro o volerlo cambiare, analizzare una scelta politica o i propri sentimenti, le liste orientano. Si tratta, nel momento in cui si stilano, di visualizza­re nel dettaglio cosa si vuole raggiunger­e. Più si scompone nel particolar­e più il passo parla al cervello. Dopo si valutano responsabi­lità, tempo, cosa si è disposti a fare e benefici. Fatta la grande cornice, tutti i punti si possono riscomporr­e con lo stesso metodo. Resta un’astuzia: fare liste positive, non usare il “non voglio fare, “non voglio essere”. C’è il rischio che il cervello ubbidisca proprio a quel “non”».

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