Parigi Nel serraglio di Walasse Ting ladro di fiori e di colori d’Oriente
Un mondo fiabesco, popolato di fiori, gatti, pappagalli, capre, serpenti, uccelli. E di una prima Venere orientale distesa (in versione pop) e una seconda che nasce sotto gli ombrelli mentre diluvia. Paiono attrici di bordelli. I colori? Neri, grigi, verdi, arancioni, gialli, viola, marroni, verde-chiari e verdescuri, blu, e anche talvolta a pioggia, mischiati come coriandoli (donna-serpente). Qualcuno dà vita a geroglifici orientali o a caricature, ma sempre con gli occhi puntati su Matisse, sulla sue tinte primaverili.
Parliamo delle opere di Walasse Ting (1929-2010), di cui attualmente il Museo parigino Cernuschi (dal nome del suo fondatore, il finanziere italiano Enrico), dedicato alle arti asiatiche, ne espone un’ottantina inedite, recentemente restaurate, donate nel corso degli anni dal pittore cinese, cantore dell’eterno femminino. Titolo della mostra, Walasse, il ladro dei fiori.
Passione, amore, desiderio, fantasia erotica sono gli ingredienti del suo mondo fantasmagorico e coinvolgente. Animali, fiori e personaggi si amalgamano, ricreando in parte l’iconografia cinese, cui si aggiunge una sorta di veemenza pittorica che Ting ha recepito dal gruppo Cobra, di cui ha fatto parte durante la sua avventura parigina.
Nato nei pressi di Shanghai, a 17 anni Ting lascia la Cina per Hong Kong, dove trascorre qualche anno. Nel 1953 arriva a Parigi. Proprio nel momento in cui la Ville lumiére rinnova il proprio interesse per l’arte orientale. Qualcosa del genere è già avvenuta, verso la fine dell’Ottocento, col Giapponismo (termine coniato nel 1873 dall’incisore Philippe Burty) che in Europa trova terreno fertile soprattutto con Van Gogh (nel Ritratto di père Tanguy Walasse Ting, Sans titre / Femmes à l’éventail (1980 circa, inchiostro e colori su carta)
sono presenti sei stampe ukiyo-e), Manet, Degas, Monet, Renoir, Pissarro, Klimt. Incidenza del Giapponismo in pittura, ma anche nella musica. Valga per tutti l’esempio di Claude Debussy che per la sinfonia La mer si ispira a La grande onda di Hokusai.
Oltre mezzo secolo dopo, l’interesse si volge principalmente al calligrafismo giapponese e alla pittura cinese. Quando Ting approda, venticinquenne, a Parigi, trova già Wu Guanzhong (nato nel ’19, è nella capitale francese dal ’47) e Zao Wou-ki (nato nel ’21 e giunto nel ’48). Chu Teh-chun
(1920), l’ultimo dei «tre moschettieri dell’arte moderna cinese», invece, li raggiungerà nel ’55. Tutt’e e tre frequentano la Scuola nazionale di belle arti e sono attratti soprattutto da Van Gogh, Gauguin e Cézanne. Ting si unisce a loro. Punti in comune? Tentare un mélange fra l’arte orientale e le varie espressioni di quella occidentale che furoreggiano a Parigi.
Walasse Ting viene cooptato dal gruppo Cobra (la sigla sotto la quale operano artisti provenienti da Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam) dove alcuni manifestano interesse per le arti del Sol Levante. Capita an- che che essi lavorino insieme, a più mani. Nella rassegna del Cernuschi, per esempio, è esposto un dipinto (Jorn’s Grave?) firmato, oltre che da Walasse, anche da Karel Appen, Asger Jorn, Reinhoud (d’Haese) e Pierre Alechinsky. Christian Dotremont inventa «Aleching», contrazione di Alechinsky e Ting.
A Parigi, Ting incontra l’americano Sam Francis, che ritroverà a New York una volta che, nel ’57, decide di tentare l’avventura oltreatlantico. Così, all’esperienza parigina degli anni Cinquanta, si aggiunge quella dell’Action painting americana e della Pop. D’altronde, l’espressionismo astratto ha sempre guardato al calligrafismo orientale. E Ting torna a dipingere sul kakemono, la tradizionale tela arrotolata.
Sam Francis presenta Ting a Tom Wesselmann e Claes Oldenburg. Il pittore cinese rinasce a nuova vita artistica. Rifacendosi alla tradizione cinese, si sceglie il soprannome di «Gran ladro dei fiori», che si ritrova in alcuni lavori. Pubblica alcuni libri d’artista, fra cui Vita da un soldo, assieme a Dine, Francis, Kornfeld, Indiana, Lichtenstein, Saura, Rauschenberg, Riopelle, Rosenquist, Saura, Warhol e altri. La sua donna diventa l’immagine del mito del consumismo che, già a suo tempo, era valsa al pittore di Shanghai la definizione di «Van Gogh dei grandi magazzini».
Con gli anni, i fiori di New York tendono ad appassire e, nel 1986, Ting decide di trasferirsi in Olanda, ad Amsterdam. Fra astrazione, scrittura e pittogrammi, papaveri, rose e giaggioli rivivono a contatto coi tulipani, ma filtrati dall’eredità di Matisse. Ting, infatti, recupera la Parigi d’una volta, malinconica, raffinata e cromaticamente aggressiva e la sua tavolozza con scene senza tempo.