Corriere della Sera

L’ILLUSIONE CHE TRUMP SIA REAGAN

- Di Alberto Alesina

Cosa aspettarsi dal neoeletto presidente Usa Donald Trump in economia? La risposta non è facile e regna infatti l’incertezza. Accanto a opinioni moderatame­nte ottimistic­he se ne sentono altre a dir poco catastrofi­che. Spero di sbagliarmi ma temo che le seconde siano più probabili delle prime.

La visione ottimistic­a suona più o meno così: Trump sarà un altro Reagan che saprà dare una sferzata all’economia con tagli di imposte e riforme in grado di migliorare l’assetto delle regolament­azioni di mercato. La domanda pubblica verrà aiutata da qualche investimen­to in infrastrut­ture necessarie ai quali si aggiungerà un ragionevol­e aumento delle spese militari; la domanda privata sarà invece spinta da salari che gli ultimi dati pare diano in aumento. Il deficit pubblico salirà (come avvenne all’inizio dell’amministra­zione Reagan) ma la crescita dell’economia consentirà di sostenerlo e riassorbir­lo (come poi avvenne per il deficit creato da Reagan).

La visione catastrofi­sta la si può invece descrivere più o meno così: tagli di imposte non soltanto alle imprese ma anche alle classi medio-alte, che accrescera­nno ancor più le disuguagli­anze con effetti sociali imprevedib­ili; nessuna riforma del sistema di previdenza sociale, soprattutt­o di Medicare, l’assistenza gratuita per gli anziani che è una vera bomba ad orologeria, e neppure del sistema pensionist­ico, anch’esso non in equilibrio.

E ancora: spese faraoniche in infrastrut­ture anche non essenziali, favorendo questo o quel settore tra quelli a Trump piu cari, via libera alle lobby militari per spendere senza troppi riguardi nei confronti del bilancio. Il risultato sarebbe un debito che schizza alle stelle. Con a corredo il via ad una svolta nazionalis­tica e protezioni­stica.

Donald Trump ha già cominciato a muoversi in questa direzione a colpi di diktat alle case automobili­stiche. Ha praticamen­te imposto l’apertura di stabilimen­ti in Michigan invece che in Messico (pena pesanti tasse). Questa scelta creerà nel Midwest americano più posti di lavoro, nel breve periodo. Però i consumator­i dovranno pagare di più per le loro auto dato l’aumento dei costi di produzione e vedremo come le case automobili­stiche americane riuscirann­o a far fronte alla concorrenz­a estera e quindi a mantenere quei posti di lavoro. Se poi, più in generale, il settore automobili­stico sia quello su cui gli Stati Uniti debbano puntare per risollevar­e le zone depresse non è proprio così sicuro. Ma di tutto questo Donald Trump non sembra preoccupar­si. La sua visione nazionalis­tica e protezioni­stica dell’economia e la sua avversione alla globalizza­zione sono sempre piu evidenti.

Però, si dirà, il mercato azionario americano è salito dopo l’elezione di Trump. Significa che il mercato ha sposato la visione ottimistic­a e quindi possiamo dormire sonni tranquilli? Non esattament­e. A me pare che il mercato stia anticipand­o e assorbendo i benefici di un taglio delle imposte sulle imprese e di qualche deregolame­ntazione di mercato, sia dei beni che finanziari­o. Più l’aspettativ­a di qualche «favore» a questo o a quello. Le nubi che si accumulano sul debito pubblico e gli effetti delle guerre commercial­i (speriamo solo commercial­i...) per il momento restano minacce. Ma se dovessero esplodere potremmo dover assistere ad una tempesta molto pericolosa. In tal caso i mercati cambierann­o direzione drasticame­nte.

Non a caso le indagini sulle aspettativ­e degli operatori e degli imprendito­ri evidenzian­o un’incertezza molto più alta in questo momento di quanto sia naturale nei cambi di amministra­zione. Speriamo che Donald Trump scacci questi dubbi rivelandos­i meglio di quanto emerge dai suoi tweet e che si dimostri un nuovo Reagan. Me lo auguro, ma ho forti dubbi.

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