I profughi ammassati nella stazione a -16 gradi Belgrado come Calais
ABelgrado come già a Calais, pantani lungo la via delle migrazioni che diventano insalubri e affollate «sale d’attesa». È la cronaca di questi giorni, particolarmente freddi; è anche l’ennesima dimostrazione di un sistema che non funziona. S’inceppa. Lo racconta al
Corriere Andrea Contenta, esperto di affari umanitari per Medici senza frontiere (Msf) in Serbia: «La rotta dei Balcani non è chiusa — spiega al
Corriere —, dalla Turchia ma anche dall’Albania attraverso il Kosovo donne, uomini e bambini continuano ad affluire a Belgrado, che resta crocevia fondamentale verso il centro e il nord Europa. Bloccato però il passaggio per i Paesi confinanti (Ungheria in testa), la maggior parte rischia di fermarsi qui». Nei vecchi magazzini della ferrovia, con le temperature 16 gradi sotto lo zero e la neve oltre i 30 centimetri. Almeno 1.200 persone ammassate, secondo l’agenzia Onu per i Rifugiati, afghani, pachistani, iracheni e siriani; 2.000 nella valutazione degli operatori di Msf, che si trovano a curare casi di ipotermia fino al congelamento. Le autorità serbe ripropongono i 16 centri d’accoglienza, già colmi. I rifugiati indugiano a spostarsi, pure per non allontanarsi dai treni che consentono di riprendere il viaggio. «In questa situazione si crea un limbo», dice Contenta. Un accampamento informale ma quasi consolidato, come era già successo a Calais, spiaggia francese verso la Gran Bretagna, con la tendopoli chiamata «giungla» dove s’arenava la traversata della Manica. Il governo francese l’ha smantellata, ma la questione dei passaggi interrotti di rifugiati all’interno dell’Europa non s’è risolta. Chiusa una giungla, ne risorge un’altra.