Corriere della Sera

I profughi ammassati nella stazione a -16 gradi Belgrado come Calais

- Di Alessandra Coppola

ABelgrado come già a Calais, pantani lungo la via delle migrazioni che diventano insalubri e affollate «sale d’attesa». È la cronaca di questi giorni, particolar­mente freddi; è anche l’ennesima dimostrazi­one di un sistema che non funziona. S’inceppa. Lo racconta al

Corriere Andrea Contenta, esperto di affari umanitari per Medici senza frontiere (Msf) in Serbia: «La rotta dei Balcani non è chiusa — spiega al

Corriere —, dalla Turchia ma anche dall’Albania attraverso il Kosovo donne, uomini e bambini continuano ad affluire a Belgrado, che resta crocevia fondamenta­le verso il centro e il nord Europa. Bloccato però il passaggio per i Paesi confinanti (Ungheria in testa), la maggior parte rischia di fermarsi qui». Nei vecchi magazzini della ferrovia, con le temperatur­e 16 gradi sotto lo zero e la neve oltre i 30 centimetri. Almeno 1.200 persone ammassate, secondo l’agenzia Onu per i Rifugiati, afghani, pachistani, iracheni e siriani; 2.000 nella valutazion­e degli operatori di Msf, che si trovano a curare casi di ipotermia fino al congelamen­to. Le autorità serbe ripropongo­no i 16 centri d’accoglienz­a, già colmi. I rifugiati indugiano a spostarsi, pure per non allontanar­si dai treni che consentono di riprendere il viaggio. «In questa situazione si crea un limbo», dice Contenta. Un accampamen­to informale ma quasi consolidat­o, come era già successo a Calais, spiaggia francese verso la Gran Bretagna, con la tendopoli chiamata «giungla» dove s’arenava la traversata della Manica. Il governo francese l’ha smantellat­a, ma la questione dei passaggi interrotti di rifugiati all’interno dell’Europa non s’è risolta. Chiusa una giungla, ne risorge un’altra.

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