Ma per il Quirinale siamo alla tattica I giochi si apriranno dopo la Consulta
Fino alla tarda serata di ieri si dava per inevitabile che qualcuno, dopo le interviste parallele di Berlusconi e Renzi concentrate in particolare sulla corsa al voto, sollevasse la solita (a volte petulante più che politicamente corretta) questione del presidente «tirato per la giacca». Per fortuna non è successo. Anche perché Sergio Mattarella non si è neppure scomposto per quelle dichiarazioni. Si sa che definire chiusa una legislatura e mandare il Paese alle urne è una prerogativa sua. Ed è ovvio che, al pari di chi l’ha preceduto sul Colle, detesti l’idea di esserne espropriato. In questo caso, però, i segnali che si stanno lanciando i leader di centrodestra e centrosinistra — mentre incalzano Lega e 5 Stelle — sono rimbalzati al Quirinale come mosse tattiche normali in un confronto politico, piuttosto che come invasioni di campo. Siamo ancora alle parole penultime del negoziato, quelle non definitive e dunque suscettibili di correzioni. Sondaggi per un accordo, insomma.
Il momento della verità verrà soltanto dopo la pronuncia della Consulta sull’Italicum, il prossimo 24 gennaio. È da allora che il gioco si farà serio e si vedrà se coloro che adesso smaniano per elezioni al più presto, entro la primavera, magari in aprile, saranno disposti a pagare il costo politico di eventuali forzature. Accadrebbe se si insistesse per un compromesso al ribasso, accampando la scusa delle difficoltà di un’intesa e proponendo di scansare provvisoriamente il problema adottando la «risultante» delle sentenze della Consulta. Ed è noto come la pensi il capo dello Stato. A parte il fatto che una simile soluzione dimostrerebbe una drammatica impotenza del Parlamento, esporrebbe poi il sistema al pericolo di spalancare un’area di non augurabile incertezza giuridica.
Per quanto riguarda Mattarella, resta agli atti quel che ha detto a fine anno. Servono «leggi elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere con efficacia la loro volontà e questa trovi applicazione nel Parlamento che si elegge». Infatti, «con regole contrastanti tra loro chiamare subito gli elettori al voto», come si pretendeva dopo il 4 dicembre, «sarebbe stato contrario all’interesse del Paese e con un alto rischio d’ingovernabilità». Frasi che ricordiamo perché, per dirla con una metafora rozza ma efficace, i partiti alla fine dovranno fare i conti con l’oste.