Da mercoledì alla Biblioteca Archimede di Settimo Torinese cento ritratti di vita industriale L’archivio Pirelli si mette in mostra Per raccontare un «grande sogno»
Quando una fabbrica italiana diventa un museo mentre è ancora in attività o, addirittura, fin dall’inaugurazione di un nuovo stabilimento architettato da Renzo Piano in un giardino di ciliegi, probabilmente si chiama Pirelli. Quando un’azienda produce oggetti di dubbia seduzione estetica, come cinghie, tubi e tessuti gommati, ma riesce a inchiodare gli sguardi sui suoi cartelloni pubblicitari e a scatenare brame collezionistiche, è facile che abbia investito nelle prestazioni di qualche genio della fotografia, del design, della pittura. Ed è, di nuovo, il caso della Pirelli che, nei suoi 144 anni di esistenza, ha accumulato un Archivio storico lungo tre chilometri e mezzo e ha deciso di non custodire quel patrimonio solo per sé.
Cento ritratti di vita industriale e di imprese sportive, di creatività artistica e di creature spettacolari si susseguono nelle sei sezioni della mostra che s’inaugura domani alla Biblioteca Archimede di Settimo Torinese, storico polo industriale dell’hinterland di Torino e recente polo di attrazioni intellettuali e formative, con la sua candidatura a capitale italiana della cultura per il 2018: «Se per museo s’intende una raccolta di reliquie, una fabbrica non può esserlo — argomenta Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli —, ma può esserlo come testimone di contemporaneità, il passato che diventa futuro. Un museo d’impresa non serve a conservare, ma a raccontare un’evoluzione».
Per riuscirci, però, occorre aver puntato per almeno un secolo sui più grandi visionari: designer come Bob Noorda o Bruno Munari, illustratori come Gino Boccasile o Stanley Charles Roowy, architetti come Alessandro Mendini, fotografi come Helmut Newton, Ugo Mulas, Herb Ritts, Richard Avedon o Bruce Weber. A disposizione dei quali è stato necessario mettere modelle della statura di Sophia Loren, Eva Herzigova, Bo Derek, Jennifer Lopez, Gisele Bündchen, Cindy Crawford. Una galassia di divi e divine attorno a uno pneumatico ha potuto così trasformare il marchio in un oggetto di desiderio, sotto forma di un calendario tirato in poche migliaia di esemplari all’anno, o in immagini rivoluzionarie e indelebili, come il manifesto di Carl Lewis che Annie Leibovitz ha immortalato in tacchi a spillo, pronto allo scatto da un invisibile blocco di partenza.
Il percorso della mostra segue uno sviluppo cronologico e tematico: si parte da «Una P lunga 140 anni», con i ricordi di «tutte le meraviglie industriali di caucciù» presentate all’Expo del 1906, dalla prima Esposizione internazionale d’automobili a Torino, e si prosegue, nella seconda sezione, «La fabbrica degli artisti», con le prime tavole firmate da Fulvio Bianconi, ispirate dal lavoro e dai macchinari dei reparti e pubblicate sulla rivista «Pirelli». Appartengono all’olandese Arno Hammacher, ma s’inseriscono nella tradizione fotografica di Tina Modotti, i primi piani sulle mani degli operai al lavoro; mentre sport e innovazione si fondono nei trionfi Alberto Ascari o del principe Scipione Borghese e del giornalista Luigi Barzini al raid della Pechino-Parigi, nel
Un Calendario-mito, gli scatti dei maestri della fotografia, la pubblicità come arte: tutto nel segno del contemporaneo