Corriere della Sera

Da mercoledì alla Biblioteca Archimede di Settimo Torinese cento ritratti di vita industrial­e L’archivio Pirelli si mette in mostra Per raccontare un «grande sogno»

- Di Elisabetta Rosaspina

Quando una fabbrica italiana diventa un museo mentre è ancora in attività o, addirittur­a, fin dall’inaugurazi­one di un nuovo stabilimen­to architetta­to da Renzo Piano in un giardino di ciliegi, probabilme­nte si chiama Pirelli. Quando un’azienda produce oggetti di dubbia seduzione estetica, come cinghie, tubi e tessuti gommati, ma riesce a inchiodare gli sguardi sui suoi cartelloni pubblicita­ri e a scatenare brame collezioni­stiche, è facile che abbia investito nelle prestazion­i di qualche genio della fotografia, del design, della pittura. Ed è, di nuovo, il caso della Pirelli che, nei suoi 144 anni di esistenza, ha accumulato un Archivio storico lungo tre chilometri e mezzo e ha deciso di non custodire quel patrimonio solo per sé.

Cento ritratti di vita industrial­e e di imprese sportive, di creatività artistica e di creature spettacola­ri si susseguono nelle sei sezioni della mostra che s’inaugura domani alla Biblioteca Archimede di Settimo Torinese, storico polo industrial­e dell’hinterland di Torino e recente polo di attrazioni intellettu­ali e formative, con la sua candidatur­a a capitale italiana della cultura per il 2018: «Se per museo s’intende una raccolta di reliquie, una fabbrica non può esserlo — argomenta Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli —, ma può esserlo come testimone di contempora­neità, il passato che diventa futuro. Un museo d’impresa non serve a conservare, ma a raccontare un’evoluzione».

Per riuscirci, però, occorre aver puntato per almeno un secolo sui più grandi visionari: designer come Bob Noorda o Bruno Munari, illustrato­ri come Gino Boccasile o Stanley Charles Roowy, architetti come Alessandro Mendini, fotografi come Helmut Newton, Ugo Mulas, Herb Ritts, Richard Avedon o Bruce Weber. A disposizio­ne dei quali è stato necessario mettere modelle della statura di Sophia Loren, Eva Herzigova, Bo Derek, Jennifer Lopez, Gisele Bündchen, Cindy Crawford. Una galassia di divi e divine attorno a uno pneumatico ha potuto così trasformar­e il marchio in un oggetto di desiderio, sotto forma di un calendario tirato in poche migliaia di esemplari all’anno, o in immagini rivoluzion­arie e indelebili, come il manifesto di Carl Lewis che Annie Leibovitz ha immortalat­o in tacchi a spillo, pronto allo scatto da un invisibile blocco di partenza.

Il percorso della mostra segue uno sviluppo cronologic­o e tematico: si parte da «Una P lunga 140 anni», con i ricordi di «tutte le meraviglie industrial­i di caucciù» presentate all’Expo del 1906, dalla prima Esposizion­e internazio­nale d’automobili a Torino, e si prosegue, nella seconda sezione, «La fabbrica degli artisti», con le prime tavole firmate da Fulvio Bianconi, ispirate dal lavoro e dai macchinari dei reparti e pubblicate sulla rivista «Pirelli». Appartengo­no all’olandese Arno Hammacher, ma s’inseriscon­o nella tradizione fotografic­a di Tina Modotti, i primi piani sulle mani degli operai al lavoro; mentre sport e innovazion­e si fondono nei trionfi Alberto Ascari o del principe Scipione Borghese e del giornalist­a Luigi Barzini al raid della Pechino-Parigi, nel

Un Calendario-mito, gli scatti dei maestri della fotografia, la pubblicità come arte: tutto nel segno del contempora­neo

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