La rivincita degli indipendenti
È l’alternativa al pop dei nuovi cantautori Testi che arrivano a tanti e suoni meno acerbi Brunori: «Le radio se ne sono accorte tardi»
Il fenomeno In arrivo tra pochi giorni «A casa tutto bene», il quarto album di inediti dell’artista di Cosenza
La musica indipendente è come le balene. Per lunghi periodi se ne sta nelle profondità dell’underground per poi risalire in superficie. Lo scorso anno si sono avuti i primi segnali dell’emersione di una nuova generazione di artisti che arrivano da etichette discografiche slegate dalle multinazionali, realtà lontane dal suono uniforme dei network nazionali che però sono riusciti a trovare uno spazio proprio nelle radio. Sono nomi come Calcutta, cantautore col passo battistiano, i Thegiornalisti di Tommaso Paradiso, il synth-pop di Cosmo, i brani generazionali di Motta e degli Ex-Otago.
Nel 2017 il trend si annuncia ancora più consistente. Il primo a uscire Brunori Sas, con il quarto album «A casa tutto bene» (sarà nei negozi venerdì). «Bisognerebbe chiedere alle radio perché non abbiano colto questo mondo prima. A me non può che far piacere perché finalmente anche i parenti capiscono che lavoro faccio e mamma non deve più giustificarsi quando le amiche le chiedono di suo figlio», sorride Dario Brunori, che assieme a Dente e Le luci della centrale elettrica (disco in arrivo a primavera) da qualche hanno ha dato una rispolverata a un ansimante cantautorato.
L’unico a non aver colto il fenomeno è Carlo Conti che nonostante gli scarsi risultati, sia di vendite che di passaggi in radio, del cast di Sanremo dello scorso anno anche in questa edizione non ha rischiato. L’indie non va (ancora) in tv ma fa spesso numeri e incassi che chi finisce sul piccolo schermo si sogna. I due tour del precedente disco di Brunori, per dire, hanno avuto oltre 30 mila presenze. Lui è anche impegnato come discografico in qualità di socio dell’etichetta Picicca Dischi. Che ha in squadra Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata, autori di «Un mondo raro», album e romanzo (edizioni La nave di Teseo) dedicati alla cantante messicana, nonché amante di Frida Kahlo, Chavela Vargas in uscita in settimana. «Le radio iniziano a capire che non esiste solo quello che funziona a Roma e Milano, ma che c’è anche una provincia fatta di locali dove si suona e si fa musica. E poi c’è sempre stato bisogno di un’alternativa al pop. Qualche anno fa era il rap, ora che quello è diventato pop tocca a noi. Non è più tempo di barriere. In fondo una volta sulla stessa emittente potevi sentire Dalla e Sabrina Salerno».
È anche cambiata la mentalità della scena. Meno snob e ripiegata su se stessa. «Indie non è più sinonimo di suono marcio. Però ammetto che anche io in passato cercavo un suono lontano da quello delle radio, per distinguermi». «A casa tutto bene», prodotto con eleganza da Taketo Gohara, fa convivere le chitarre e i pianoforti simbolo dei cantautori, strumenti tradizionali come delle mandole del ‘700 e il tocco contemporaneo dell’elettronica.
La differenza fra indie e pop oggi la fanno soprattutto i testi. Non necessariamente col pugno alzato, anzi, ma con dentro il racconto di una storia. Più Ed Sheeran che gli standardizzati luoghi comuni del meteo-sentimento (la pioggia dell’animo per intenderci) dei colleghi preferiti da radio e tv. «Se devo scegliere un riferimento è il Lucio Dalla di “Come è profondo il mare”. Una scrittura poco elitaria, sfrondata dai filtri poetici, che però riesce a non perdere il contenuto». «Canzone contro la paura», una delle nuove di Brunori, parla proprio di quella sfida interiore fra lo scrivere brani d’amore perché «se ti guardi attorno non c’è niente da cantare» e quelli che sono «sberle in faccia» che fanno pensare. «Il tema di tutto il disco è il continuo attrito della coscienza fra la voce del quieto vivere e quella del mettersi in discussione», spiega lui. Il tema della paura è stato proprio il motore di tutto l’album, nato da una chiacchierata con un tassinaro dal facile insulto razzista. «Ho pensato alla perdita di umanità incarnata dai personaggi che la pensano come lui. È la paura che ci accomuna: io ho paura di lui, lui ha paura dello straniero». Brunori non sta col dito puntato a fare il primo della classe. «In “Don Abbondio” mi ci metto pure io fra quelli che si lasciano andare al donabbondismo».
Il rischio è che continuando a crescere la Sas di Brunori («Era la ditta di papà») diventi SpA e venga snaturata: «Fatico a delegare, ma anche crescere è un’esperienza. Se mi quoto in Borsa, però, faccio fallire tutto e scappo con la cassa».
Adesso mia madre non deve più giustificarsi quando le amiche le chiedono che lavoro fa suo figlio
Anche io nei primi album cercavo una musica lontana da quella dei network per essere diverso