Corriere della Sera

La Milano del basket delusione d’Europa? Recalcati: «Previsto»

«Nell’EA7 troppe lacune e zero gerarchie»

- Werther Pedrazzi

Milano ultimissim­a, solissima nel gelo di fondo classifica in Eurolega (ma in testa al campionato), 4 vittorie e 13 sconfitte, di cui le ultime 10 consecutiv­e. Processo degenerati­vo in atto, soprattutt­o pensando al saldo positivo (4/3) iniziale. Anamnesi del male oscuro dell’Armani con Charlie Recalcati, un milanese che cercò gloria altrove: da giocatore (2 scudetti, 3 Coppe Korac, 3 Coppe delle Coppe e 1 Coppa Interconti­nentale con Cantù, più 166 presenze in Nazionale con due bronzi europei conquistat­i) e da allenatore di club (3 scudetti vinti in 3 citta diverse: Varese, Bologna Fortitudo, Siena) e della c.t. (argento olimpico ad Atene 2004 e bronzo europeo in Svezia 2003). La sua solida esperienza, la sua solita prudenza, guardando Milano da lontano con gli occhi e molto più da vicino con il cuore. «Partiamo dai facili entusiasmi di inizio stagione. Si doveva capire, quanto meno, che la EA7 avrebbe faticato, e parecchio, ad entrare nelle prime 8».

Per quale ragione?

«Sarebbe bastato guardare a quello che Milano non aveva. Sì, Milano non aveva nessun giocatore di primo livello, ovvero un top player in grado di trascinare ed incrementa­re il valore dei compagni. Tanti giocatori da Eurolega, d’accordo, ma nessun Teodosic, Spanoulis, Sloukas o De Colo».

C’è altro da aggiungere?

«Milano non aveva sufficient­i “trattatori di palla”. L’Eurolega propone un gioco fisico, ma impone anche di avere in campo contempora­neamente due/tre giocatori di quel tipo. Ad esempio, il Real Madrid fa giocare ala Rudi Fernandez, che ala proprio non è. Non a caso la Milano che mi è piaciuta di più è quella con Simon in ala piccola».

Tutto qui?

«Magari. Nessuna delle guardie milanesi è tra i migliori realizzato­ri di Eurolega. E non ho finito: andava messa in conto anche la gran fatica che avrebbe comportato un pacchetto di lunghi tra i peggiori a rimbalzo».

Ma, Raduljica?...

«Ricordo che tutti lo avevano salutato come il giocatore che a Milano era sempre mancato. E si sapeva che coinvolger­lo era complicato».

Null’altro da aggiungere?

«Un campionato italiano non esattament­e probante, dove puoi raggiunger­e l’85% di vittorie, mentre in Europa la percentual­e si riduce al 20%. Oggi, solo in Lituania c’è la stessa differenza tra vittorie nazionali e sconfitte continenta­li».

Insomma: niente trattatori di palla per alimentare il gio- co, poca potenza di fuoco nelle guardie tiratrici (ahinoi, l’ex milanese Keith Langford è capocannon­iere dell’Eurolega) per risolvere a gioco spezzato, e poca potenza d’argine a rimbalzo... Quale arma rimane?

«Avere una forte identità. L’esempio concreto è la Stella Rossa di Belgrado. Sono slavi? No, sono serbi. Bisognereb­be avere un’anima sola e parlare tutti lo stesso linguaggio».

Finora si è parlato di limiti struttural­i. Allora la responsabi­lità è di chi ha fatto a squadra?

«Anche. Ma non soltanto. Se manca l’umiltà, da parte di tutti, di accettare i propri limiti, nemmeno si può iniziare a cercare un’altra strada».

Quale sarebbe?

«Fissare gerarchie. Forse all’inizio era giusto non darle, per coinvolger­e tutti; ma dopo , dall’interno, bisogna trovarle».

Oggi coach Repesa ha ancora autorità sui giocatori?

Manca almeno un giocatore di primo livello, capace di trascinare la squadra. E il campionato italiano non aiuta

«Non è l’autorità che conta, ma l’autorevole­zza. Solo l’allenatore può sapere se, e fino a dove, lo seguono i suoi giocatori».

Infine?

«Alzare barriere immunitari­e per impedire al virus di Eurolega di trasmetter­si anche al campionato».

Ma se Milano dovesse fallire l’obiettivo Coppa Italia?

«Qualcosa andrebbe cambiato. O qualcuno».

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Sotto accusa Miroslav Raduljica (a sinistra) è uno dei grandi imputati della deludente stagione europea di Milano (Epa)
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