UN RICHIAMO EUROPEO CHE VA OLTRE L’EREDITÀ DI RENZI
Ridurre il richiamo di Bruxelles all’Italia ad una coda dello scontro col governo di Matteo Renzi sarebbe riduttivo. La richiesta di una manovra correttiva di oltre tre miliardi di euro certifica semmai una divergenza crescente tra la strategia finanziaria della Commissione europea e quella di alcune nazioni; e una percezione sempre più sfasata delle priorità del nord e del sud del continente. Per quanto in parte prevista, l’iniziativa getta un’ombra sulla manovra finanziaria approvata a fine anno. E la allunga su Paolo Gentiloni e sul ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Ma trasmette l’immagine di due crisi parallele.
Ripropone le incomprensioni ormai stucchevoli tra «partito del rigore» e della crescita, che da tempo segna i rapporti tra la Germania e i suoi satelliti nordeuropei, e i Paesi del Mediterraneo. E segnala l’irrigidimento di istituzioni troppo deboli e insidiate dai nazionalismi per permettersi una visione europea di alcuni problemi. L’idea di un’Italia da bacchettare sul debito pubblico stride con la tendenza ad abbandonarla al suo destino sull’immigrazione. Il risultato è una reazione italiana di stizza, e il rifiuto almeno di facciata ad assecondare la Commissione.
L’impressione, tuttavia, è che il potere contrattuale di Roma resti debole, e fiaccato dalle polemiche interne. Si voti nel 2017 o nel 2018, gli umori sono elettorali. E la voglia di approfittare dei problemi del governo prevale su qualunque esigenza di unità nazionale. Le opposizioni vedono quanto succede come una manna antigovernativa. Il M5S tenta di usare l’Europa per prendere non due ma tre piccioni con una fava: Renzi, Gentiloni e Padoan. E Forza Italia sostiene che i mille giorni di Renzi sono stati «fallimentari».
La stranezza di questi attacchi è che Opposizioni all’attacco anche se sono le stesse che hanno sempre criticato la subalternità di Palazzo Chigi a Bruxelles